Qualche mese fa ANMVI aveva dato per certo il proprio ingresso nel CITES Italia, grazie all’appoggio del Sottosegretario Francesca Martini. Il CITES -CONVENTION ON INTERNATIONAL TRADE IN ENDANGERED SPECIES OF WILD FAUNA AND FLORA- ha risposto (protocollo 0013577 del 5/5/11) che vi è già un membro veterinario nel proprio comitato e quindi non ritiene necessario averne altri. A chi faceva osservare l’inopportunità di avere rappresentanze di associazioni ambientaliste e non di commercianti e veterinari, in un organismo che si occupa di commercio di specie animali, il Cites ha risposto che le associazioni prescelte sono titolate in quanto difendono “interessi pubblici”.
Ovviamente non si discute sulle legittime istanze presentate dalle associazioni; quello che mi lascia un pochino perplesso è che tali istanze siano considerate di interesse pubblico quando milioni di Italiani pur amando l’ambiente, come gli animali, non si riconoscono affatto nelle posizioni di chi antepone questi ad ogni altra cosa. Ritengo che oggi non sarebbe forse possibile nel nostro Paese debellare la malaria prosciugando aree paludose di intere regioni, o avere infrastrutture ed energia, se l’ambiente fosse gestito unicamente dagli ambientalisti. Si tratta di posizioni necessarie ed importanti, ma definirle di interesse pubblico a scapito di altri interessi, altrettanto legittimi, come quello del progresso umano o della salute, pare una forzatura. Esattamente come gestire gli animali unicamente sull’onda delle istanze animaliste. Per quanti Italiani dovrà considerasi “interesse pubblico” avere cani vaganti e specie infestanti sul territorio con rischi di aggressioni, danni all’agricoltura ed alle infrastrutture, incidenti, malattie infettive o per quanti animali sarà un interesse essere chiusi a vita nella gabbia di un canile, mantenuti dai Sindaci?
Riguardo ai veterinari, al di là degli annunci prematuri e poi smentiti cui siamo ormai avvezzi, che forse meriterebbero maggior prudenza, se ne potrebbe dedurre, (sbagliando!) che, in ambito scientifico, non difendano un interesse pubblico quale il diritto alla salute e non abbiano competenze su eventuali malattie infettive trasmesse dall’esportazione delle specie di cui si occupa il CITES, quindi la loro presenza (come tali, e non per caso) non è utile a tutelare i cittadini e le specie stesse.
Il CITES avrebbe potuto affermare che un’associazione, nata da una piccola casa editrice, con una formula di adesione “obbligatoria” infilata in tutt’altro genere di iscrizione (quella ad una società scientifica) non rappresenta se non gli interessi della medesima casa editrice che magari la finanzia, in assenza di una qualsiasi quota di iscrizione palese. Forse sarebbe stato corretto pretendere un esponente di un organismo di rappresentanza dell’intera categoria.
In conclusione sembra di poter leggere da questa risposta che l’interesse -preminente e costituzionalmente garantito- alla salute passa in secondo piano dietro alle politiche ambientaliste e animaliste e la rappresentanza non ha più regole di trasparenza ed equilibrio. Forse se un giorno Emma Marcegalia o Sergio Marchionne fondassero una “associazione dei lavoratori”, scrivendo nelle tessere/buoni mensa che chi ne usufruisce per il pasto delega la rappresentanza a tale associazione, si avrebbe il più grande sindacato d’Italia, con buona pace di Camusso, Angeletti e Bonanni! In veterinaria, qualcuno avrebbe fatto scuola.
Angelo Troi – segretario generale Sivelp – 5 maggio 2011