di Antonio Sorice (Simevep) dal Sole 24 Ore sanità. Dal 16 al 22 novembre si celebra la settimana mondiale dell’antibioticoresistenza, un problema di sanità pubblica che rischia di avere pesanti ricadute se non verrà correttamente affrontato. Si stima che ogni anno in Europa circa 25.000 persone muoiano a causa dell’antibioticoresistenza e comporti un costo aggiuntivo di spese sanitarie e perdite di produttività per almeno 1,5 miliardi di euro.
Negli Stati Uniti, almeno 2 milioni di persone si infettano con i batteri che sono resistenti agli antibiotici e almeno 20.000 persone perdono la vita ogni anno come risultato diretto di queste infezioni. Molte più persone muoiono a causa di patologie che spesso sono complicate da infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici.
La resistenza agli antibiotici è quindi diventata una delle maggiori minacce per la salute globale ed è in aumento a livelli pericolosamente alti in tutte le parti del pianeta, compromettendo la nostra capacità di combattere le malattie infettive delle persone in tutto il mondo.
Nel secolo scorso gli antibiotici hanno contribuito significativamente ad abbattere la mortalità dovuta alle malattie infettive quali polmoniti, tubercolosi, la malaria. Oggi sono fondamentali per ridurre il rischio di complicazioni connesse a interventi medici complessi quali, per esempio, le protesi sostitutive dell’anca, trapianti di organi, etc. etc.
Gli antibiotici sono dunque farmaci preziosi, vanno usati correttamente e con equilibrio; oggi tuttavia l’efficacia dell’azione di questi farmaci è gravemente minacciata dal sempre più frequente fenomeno dell’antibioticoresistenza, ovvero dalla capacità dei microorganismi di resistere all’azione degli antimicrobici.
Usare gli antibiotici in maniera responsabile significa tutelare la salute di tutti poiché il loro cattivo utilizzo rischia di rendere più forti i batteri, di aumentare la diffusione delle infezioni e di diminuire le armi a disposizione per combatterle.
Va considerato con attenzione che la maggior parte del volume complessivo dei farmaci antimicrobici impiegati in Italia non sono usati in medicina umana. Si stima che, solo in Italia, circa il 70 % dei volumi totali di antimicrobici sia utilizzato in campo veterinario.
Molti studi hanno dimostrato che in seguito all’uso di molecole ad azione antimicrobica negli animali si è verificata la selezione di batteri resistenti; in particolare alcuni di questi studi hanno dimostrato che esiste una correlazione positiva tra l’uso di antimicrobici in medicina veterinaria e la prevalenza di resistenza nei batteri commensali isolati dalle feci di animali allevati a scopi produttivi, con evidenti conseguenze in ambito di salute pubblica.
Negli ultimi anni l’impatto sulla salute umana dell’incremento del fenomeno dell’antibiotico resistenza e in particolare l’evidenziazione dell’esistenza di microrganismi multi resistenti, hanno stimolato una particolare attenzione nell’ottenere informazioni sul ruolo dell’uso di molecole ad azione antimicrobica negli animali, sui meccanismi di selezione di microrganismi resistenti e sul trasferimento di geni di resistenza all’uomo.
La necessità dunque di uno sforzo congiunto e coordinato a livello mondiale che abbracci il campo umano e veterinario secondo un approccio olistico di One Health – One Medicine – One World, viene confermato dai dati che emergono dai vari tavoli tecnici attivati a livello mondiale su tale emergenza, considerata la vera minaccia del terzo millennio.
La Commissione Europea dal 2011 ha implementato un piano quinquennale di controllo sull’antibioticoresistenza, sostenendo fermamente che l’uso responsabile degli antimicrobici in medicina umana ed in medicina veterinaria deve essere una parte importante della strategia di conservazione dell’efficacia degli antimicrobici, integrando la politica legislativa finalizzata a mantenere l’efficacia degli antibiotici sia in salute umana che animale .
Indispensabile è la raccolta accurata dei dati sui volumi di vendita per gli animali da produzione alimentare, primo fondamentale passo per supportare le politiche di monitoraggio volte alla riduzione del rischio lungo la catena alimentare, perché il passaggio di germi antibioticoresistenti con gli alimenti può indurre la selezione di ceppi antibiotico resistenti nell’uomo.
Ad oggi l’uso degli antimicrobici negli allevamenti intensivi è ritenuto condizione imprescindibile a garanzia della salute e del benessere animale, va però razionalizzato e non deve diventare un’alternativa o un alibi a carenze strutturali e manageriali. Va altresì incentivata la trasparenza dell’uso di antibiotici negli allevamenti, mediante un approccio olistico per la prevenzione e il controllo delle malattie attraverso concetti come biosicurezza, benessere animale, corretta gestione sanitaria degli allevamenti e piani di profilassi vaccinale.
Non va poi trascurato tutto il settore degli animali da compagnia in considerazione della pressione selettiva ambientale esercitata dalle molecole e metaboliti rilasciati nel terreno, attraverso le deiezioni a seguito di trattamenti terapeutici negli allevamenti e della stessa condivisione di habitat domestici con l’uomo.
Lo sforzo di tutti gli attori deve essere mirato a garantire che gli antibiotici vengano usati in modo responsabile, sotto il controllo veterinario, e che la diagnostica guidi la scelta del trattamento antibiotico, agevolando un uso razionale e consapevole degli antibiotici.
In ragione del prevalente interesse della salute pubblica, la scelta fatta dall’Italia di mantenere il sistema dei controlli veterinari e quindi di tutti quegli atti di prevenzione che vanno dalla sanità animale all’igiene degli alimenti passando dalla sicurezza alimentare, nell’ambito sanitario e quindi del Ministero della Salute e del Servizio Sanitario Nazionale, è il primo indispensabile atto da compiere. Ci auspichiamo venga compiuto anche dagli altri Paesi, dando garanzie di uniformità dell’approccio sanitario quale conquista culturale e scientifica per la medicina tutta in quella sintesi che si chiama ONE HEALTH.
13 novembre 2015