di Gianni Rezza*. Il Covid ha evidentemente alimentato un serie di reazioni, basate a volte su stati d’animo emotivi, che condizionano anche l’informazione. Di fronte a fenomeni nuovi o a crisi ricorrenti, si risponde in maniera diversa a seconda che prevalga la cautela o, per eccesso, l’ansia, o piuttosto la rimozione. Gli esperti, inoltre, hanno imparato a compiacere alcuni meccanismi mediatici, per cui enfatizzare un allarme piuttosto che spegnerlo può far parte del gioco, oppure tendono a esprimere opinioni invece che mantenere un oggettivo distacco e sottolineare la mancanza di certezze che deriva dalle scarse evidenze disponibili.
È successo così che un’ondata epidemica di Covid-19, nella sua variante Omicron, scuotesse la Cina, per vedere materializzarsi il fantasma della comparsa di una nuova ineffabile variante che avrebbe comportato una minaccia alla sanità pubblica mondiale, ignorando o sottacendo l’importanza delle differenze nell’immunità di popolazione esistenti nelle diverse aree del mondo (un basso livello di immunità di popolazione non facilita la selezione di varianti che evadono la risposta immune, così come un’ampia immunità di popolazione tende comunque a difenderci, seppur parzialmente, dall’impatto di nuove varianti).
Ancora, durante il recente quanto drammatico evento alluvionale che ha colpito la Romagna si è immediatamente agitato lo spettro del pericolo di epidemie, e a scopo cautelativo si è ricorsi all’offerta di massa del vaccino anti-tetanico, da alcuni giudicato un atto dovuto, da altri invece un eccesso di zelo. Per finire con il cluster di casi causato da enterovirus 11, alcuni dei quali purtroppo letali, segnalato in una decina di neonati in Francia (alcuni casi sporadici sono stati identificati anche in Italia), che ha destato un allarme in parte giustificato.
Ma, in queste occasioni, come avvenne lo scorso anno per l’epatite di origine sconosciuta (qualcuno ricorda i casi segnalati nel Regno Unito?), alla quale ben si adattava il titolo Shakesperiano “tanto rumore per nulla” – o quasi piuttosto che azzardare fosche previsioni, sarebbe bene evitare qualsiasi previsione e adottare la strategica quanto prudente posizione anglosassone del “wait and see”.
Sottovalutare i rischi e rassicurare con fare paternalistico può essere estremamente pericoloso, soprattutto per la popolazione, ma anche per le conseguenze che ciò può comportare a livello legale (anche se l’Italia su questo non è certo un modello da imitare). Sopravvalutarli e finire per gridare “al lupo”, come nella famosa favola, può comportare discredito e perdita di fiducia nei confronti delle autorità sanitarie. In fondo, prepararsi al peggio in silenzio ma esprimere con onestà e trasparenza dubbi e incertezza è una prova di forza, non il contrario.
* Epidemiologo Già DG Ministero
fonte: Il Corriere della Sera