DI ELENA CATTANEO, Repubblica. In Senato si voterà questa settimana un disegno di legge promosso dal governo, d’iniziativa dei ministri Lollobrigida e Schillaci, volto a vietare la produzione e la vendita della carne coltivata. Giovedì scorso, al convegno “Innovazione a tavola: studiare è meglio che vietare”, promosso con il Gruppo per le Autonomie, si è data la parola in Senato ad alcuni tra gli studiosi non ascoltati in audizione dalle Commissioni parlamentari che hanno lavorato sul ddl. Chi ha assistito ai lavori ha potuto conoscere argomentazioni che chiariscono l’insensatezza scientifica, economica e culturale di un testo in cui si proibiscono preventivamente prodotti a base di carne coltivata che si stanno ancora studiando e che, se autorizzati, potrebbero presentare opportunità per tutti noi.
Tre gli argomenti principali che sento ripetere dai promotori della legge. Il primo, la difesa del Made in Italy.
Chi non concorda? Ma i dati dicono che, ad oggi, l’Italia importa il 50% del suo fabbisogno di carne (25% se consideriamo italiani gli animali importati vivi dall’estero).
Non potrebbero i nostri scienziati sviluppare una carne coltivata “Made in Italy” studiata proprio per ridurre le necessità d’importazione?
Il secondo, la volontà di tutelare la salute dei consumatori contro eventuali nuovi rischi. Ma in Europa la carne coltivata, come tutti i novel food, è soggetta per ogni singolo prodotto a una valutazione del rischio condotta dall’Agenzia per la sicurezza alimentare (Efsa) che dà il nulla osta solo se accerta che il profilo nutrizionale e quello di rischio sono analoghi rispetto ai prodotti che vanno ad affiancare. Solo in caso positivo la Commissione europea può autorizzarne il commercio e il consumo.
Il disegno di legge è quindi un manifesto ideologico due volte inutile. Inutile oggi perché vieta ciò che in Europa è già vietato (non è ancora mai stata chiesta, per nessun prodotto, un’autorizzazione). Inutile domani perché, in caso di valutazione positiva dell’Efsa e approvazione da parte della Commissione, il Trattato sul funzionamento dell’Ue non permetterà di bloccare alla frontiera italiana la carne coltivata europea autorizzata. Ancora sui presunti “rischi per la salute”, va detto che le cellule staminali necessarie alla produzione di carne colturale sono le stesse che nell’animale compongono alcuni dei tessuti che poiformano una “tradizionale” bistecca, e sono della stessa famiglia di quelle che utilizziamo per curare casi di leucemia o ricostruire la cornea o la pelle. Queste cellule si usano in clinica da decenni e presentano i massimi gradi di biosicurezza. Perché dovremmo temerle quando a usarle è un ricercatore dell’Università di Trento o di Tor Vergata per una crocchetta di pollo che il nostro corpo digerisce in un paio d’ore?
Il terzo. Se davvero — come mi è stato segnalato — il ddl nasce dalla volontà di preservare la natura dalla “sostituzione”, giova ricordare che l’agricoltura, per definizione, è un’attività in cui, agli ambienti naturali, si sostituiscono le colture impiantate dall’uomo, e che gli stessi allevatori non esitano a sostituire le razze “naturali” degli animali che allevano con quelle selezionate per essere più adatte alle esigenze produttive.
Agli scienziati italiani si obietta che “nessuno sta vietando la ricerca”, come se un Paese che vieta, unico al mondo, l’accesso al mercato delle tecnologie su cui stanno studiando non chiudesse loro, di fatto, ogni prospettiva di futuro. Il governo italiano non vuole il prodotto delle loro ricerche, né gli investimenti che potrebbero attrarre, né che nasca un’imprenditoria innovativa (italiana) sul tema.
In altre parole, ci si prepara a diventare un mero mercato di consumatori finali.
E poiché al tragico, spesso, si accompagnano elementi di ridicolo è bene che i cittadini sappiano che i divieti di questa legge valgono solo per alimenti derivanti da animali vertebrati. Via libera quindi a produzione e commercio di carne coltivata di crostacei, molluschi e cefalopodi. Ma qual è il senso di vietare la coltivazione e vendita di cellule di bovino e consentirla per quelle di aragosta?
Di scienza, o almeno di ragionevolezza, in tutto questo si stenta a trovar traccia. Se la legge sarà approvata si ripeterà, in forme diverse ma con la medesima sostanza, quel divorzio tra scienza e politica che tanto male ha fatto al Paese (penso a Stamina, Xylella, Ogm). Impedire che si scriva un altro capitolo, da rimangiarsi in pochi anni, di un libro nero della legislazione italiana è ancora possibile.
Basta volerlo, dentro e fuori dal Parlamento.
*Elena Cattaneo è docente alla Statale di Milano e senatrice a vita