di Aldo Grasselli, presidente Fvm. Gentile direttore, una serie di interventi sul sito di QS, e il suo richiamo all’unità dei medici, mi hanno sollecitato a dare un contributo alla comune riflessione. In questi anni i dibattiti sul “futuro della sanità pubblica”, sul “ruolo del medico”, sul “ruolo delle professioni”, sulla “sostenibilità del Ssn”, non sono mancati.
E’ mancato altro: una sintesi “sindacale” delle riflessioni, una proposta radicalmente innovativa, una forte motivazione al cambiamento, una volontà politica e una cruenta pulizia del “sistema”. E’ sempre stato più facile coltivare particolarismi, divisioni ed estremismi irrealizzabili che fare modesti ma progressivi e rivoluzionari cambiamenti.
Nella giornata internazionale dell’infermiere, Barbara Mangiacavalli, Presidente della Federazione Nazionale Collegi Ipasvi, fa un’esortazione ai suoi colleghi: “credete e crediamo nella professione, perché nonostante le difficoltà quotidiane che tutti affrontiamo, è la vera professione del futuro. Ci crediamo noi, che la viviamo accanto ai nostri pazienti, lo crede il mondo che ci circonda che, a diversi livelli e con diverse manifestazioni di stima e considerazione professionale, riconosce ogni giorno un tassello in più alla nostra crescita e ci dà atto dell’efficacia e dell’indispensabilità del nostro lavoro.”
In qualità di Presidente di FVM – Federazione Veterinari e Medici – un sindacato che ha superato una ormai antistorica separazione professionale tra medici e veterinari e che si pone in modo assolutamente aperto alla dialettica interprofessionale, raccolgo quel messaggio e lo ri-propongo, al di sopra degli steccati disciplinari e di ruolo, come un punto di ripartenza per tutti i sanitari e gli operatori che lavorano nel Ssn.
Innanzitutto riparliamo del Servizio sanitario nazionale: un’infrastruttura costosa ma anche efficiente; parassitata dalla politica delle consorterie affaristiche e dal malaffare ma anche sede di eccellenze di livello planetario; ammortizzatore sociale che offre occupazione anche a nullafacenti cronici ma banco di prova di modelli contrattuali innovativi e frontiera sanitaria in cui certi posti di lavoro hanno carichi esplosivi e rischi sempre meno sostenibili a fronte di stipendi bloccati da oltre sei anni.
Il Ssn è ancora equo, universalistico e solidale?
Il tema dell’equità è alterato dall’evasione fiscale, l’universalismo è alterato dalle liste d’attesa e dalla distribuzione territoriale non omogenea dei LEA, la solidarietà è un tema ottocentesco già da tempo travolto da un insano individualismo insieme alle rivoluzionarie egalité e fraternité. Rimane il principio di libertà. E tale principio si esercita anche con l’azione sindacale. Negli ultimi tempi, tuttavia, è ben noto che il movimento sindacale non ha trovato unità sui temi cruciali del welfare e della sanità pubblica. Anziché stringere i ranghi di tutti i reparti in campo per attaccare le criticità del sistema e per pretendere un rilancio del Ssn, l’azione sindacale si è dispersa in mille rivoli, tracciati da sigle e particolarismi categoriali, subendo una perdita di incisività che occorre recuperare.
La questione posta dalla Presidente Mangiacavalli è decisiva: credere nelle nostre professionalità, avere una percezione di sé che giustifichi e motivi le nostre rivendicazioni, avere un forte senso di appartenenza a un sistema che difende i cittadini e tutela la loro salute. Questa non è roba da comizio retorico, è una questione di identità. E quando una comune identità viene meno lasciando spazio all’individualismo dei diversi livelli gerarchici, delle professioni o dei professionisti l’esito è lo sfascio dei sistemi organizzati. L’evoluzione dei bisogni di salute impone una revisione dei modelli organizzativi e della combinazione delle potenzialità professionali.
Nella più desolante impotenza delle organizzazioni dei lavoratori, stanno avvenendo mutamenti clamorosi nella ripartizione Aziendale dei servizi sanitari regionali e stanno conseguentemente cambiando – senza alcuna interlocuzione con i lavoratori – i modelli organizzativi intra-aziendali. Il blocco del turn-over costringe ad assumere medici, veterinari e sanitari come “forza lavoro” che nelle forme più varie (co.co.co., partite iva, LP specialisti ambulatoriali) surrettiziamente, va a sostituire la dirigenza ospedaliera e dei servizi, mettendo in forte pericolo la tenuta organizzativa dei reparti, riducendo a zero il senso di appartenenza a un sistema, in un contesto aziendale cronicamente emergenziale che giustifica comportamenti sempre al limite dalla legalità giuslavoristica dove si reclutano i lavoratori “alla bisogna”.
Il processo di “task shifting”, talvolta vellicando le aspirazioni più infondate, propone un nuovo scenario operativo dove i dirigenti (medici, veterinari, sanitari) dovranno trasferire parti delle loro attività prestazionali a infermieri, tecnici della prevenzione, etc., grazie alla segmentazione degli “atti medici” in parti sempre più piccole e semplici, devolvibili a neo-esperti (più economici) di ciascun particolare segmento.
Si tratta di un processo curioso, che alleggerendo il carico di funzioni ora in capo ai medici specializzati, potrebbe farlo transitare alle suddette figure professionali (infermieri, tecnici della prevenzione, etc.) bypassando clamorosamente i medici non specializzati, i quali diventerebbero il caso più assurdo di professione liberale del tutto inutilizzabile – sino a specializzazione avvenuta – in questo paese, e solo in questo. Altri medici disoccupati o sottoccupati.
Se gli infermieri sostengono che la loro professione è: “vincente proprio e soprattutto in un mondo che si caratterizza sempre più per una demografia che richiede un’assistenza continua alla persona”, occorrerà che i medici si chiedano quale dovrà essere il loro ruolo negli anni a venire. Soprattutto dovranno chiedersi quale ruolo sarà utile in ospedale, nei servizi, nelle strutture del territorio, in ambulatorio/studio, quale ruolo sapranno e vorranno interpretare.
La popolazione medica e sanitaria è anziana, investire in formazione non basta o è sprecato se si rimane affezionati a modelli culturali obsoleti. Senza adeguate professionalità sarà impossibile risolvere le tante problematiche ingravescenti.
Non è roba da crisi depressive e Prozac, è materia di una riflessione e di un ricentraggio della figura professionale e sociale del medico moderno e del pari di ogni altra professione sanitaria. Tutti gli operatori del Ssn sono “parte della soluzione per migliorare la salute di tutti e garantire un’assistenza efficace a un minor costo”, ma devono entrare in parte per recitare da comprimari. Il valore delle nostre professioni è poca cosa se riteniamo di avventurarci in solitarie fughe in avanti. Specie se con una certa fantasia si arriva a proporre un ossimoro sociale come “l’universalismo parziale”.
Ha ragione Cavicchi quando sottolinea: “Se i tagli agli ospedali non saranno compensati con migliori cure primarie sarà un disastro. Se le cure primarie…non saranno veramente e interamente primarie…il sistema costerà sempre più del necessario”.
Nessuno avrebbe potuto ottenere i risultati professionali e le conquiste per la salute che sono patrimonio degli italiani senza il volano del Ssn.
Nella proposta sindacale che deve essere elaborata occorre guardare al futuro del Ssn rinunciando a sbirciare nel retrovisore con tentazioni conservative e nostalgiche. Vogliamo ancora pensare ad una riforma conservativa, ad una riforma cautamente riformista o, finalmente, ad una riforma rivoluzionaria come impongono i mutamenti rivoluzionari (demografici, tecnologici, farmacologici) della società?
L’Intersindacale medica deve farsi promotrice di un processo federativo delle idee, deve uscire da un insopportabile conservatorismo che ha dilapidato ogni posizione e capitale sociale, dalla stagnazione che ha consentito la manipolazione strutturale delle architetture e dell’impianto fisiologico della sanità. Occorre uscire dalla logica gattopardesca – fallimentare – in cui “cambiare tutto” non è che la premessa per “non cambiare nulla”.
All’Italia occorre un Ssn nuovo, adatto ad un paese nuovo e diverso, adatto a includere e crossfertilizzare professioni e competenze, privo di incrostazioni ideologiche e libero da mercantilismi e soggezione alla politica del malaffare. E’ questo di cui abbiamo bisogno. Non lasciamo che a progettare il futuro della nostra salute siano affascinanti catastrofisti e interessati liquidatori fallimentari.
Aldo Grasselli, Presidente Federazione Veterinari e Medici
Quotidiano sanità – 13 maggio 2015