Alla base della crisi odierna del servizio sanitario pubblico e della fuga dei medici dagli ospedali non ci sono solo i tagli delle risorse ma anche le criticità gestionali di una governance che ha penalizzato il merito e la competenza a scapito della qualità assistenziale. La capacità di motivare il personale, non solo economicamente, di creare clima organizzativo e senso di appartenenza, di realizzare percorsi di carriera che responsabilizzino i professionisti nella gestione diretta delle attività sono paradigmi fondamentali del management ai quali la politica ha spesso abdicato. Si tratta di ignavia governativa o di una precisa regia politica per smantellare un ormai scomodo servizio sanitario pubblico?
Il servizio sanitario pubblico è in crisi e ogni giorno operatori sanitari e cittadini sono costretti a fare i conti con il suo progressivo definanziamento e le carenze di personale, mentre vacilla un modello di assistenza, quello solidaristico universale, che appare sempre più “irrealistico” in un contesto politico e sociale caratterizzato da elevata evasione fiscale, elusione per reddito e patologia, povertà crescente. Una progressiva riduzione del gettito sembra non essere più in grado di sostenere l’aumento della richiesta di prestazioni, legato in parte all’invecchiamento generale della popolazione ma anche all’aumento dell’offerta, nel circolo vizioso delle liste di attesa alimentate da prestazioni in dubbio di appropriatezza.
Ma ridurre la crisi del servizio sanitario pubblico ad un mero fatto economico sarebbe limitativo: i fattori in gioco sono molti. Su tutti la responsabilità di chi non ha saputo amministrare la contrazione di risorse ridisegnando un nuovo modello assistenziale garante dell’essenziale nella cura di tutti.
In questi giorni le pagine dei giornali locali si sono riempite delle proteste sindacali sul definanziamento di questa o quella realtà aziendale ospedaliera. Finendo con l’apparire quasi una lotta tra campanili a sostegno di Amministrazioni paralizzate dalla cronica asfissia dei bilanci.
Ora è vero che la sanità pubblica “soffre” per la carenza di risorse economiche, e quindi giocoforza di personale, ma a questa situazione va riservata una lettura più approfondita che provi ad evidenziare le non poche criticità che hanno concorso in modo decisivo alle attuali difficoltà.
Prima di tutto l’eccessiva ingerenza politica nella governance sanitaria che ha penalizzato il merito e la competenza a scapito della qualità assistenziale. Quindi la mancanza di un management formato alla gestione delle risorse umane, il che compromette inesorabilmente il clima organizzativo e peggiora il livello motivazionale dei dipendenti. Le amministrazioni aziendali troppo spesso sembrano preferire logiche di efficientamento della prestazione a parità di risorse, senza utilizzare quegli strumenti che consentono di acquisire nuovo personale in deroga al blocco del turnover.
Per non parlare del mancato utilizzo dei fondi dedicati al sistema degli incarichi dirigenziali nel qualificare il fabbisogno organizzativo. Peggiorando in questo modo ulteriormente una già incidente e diffusa insoddisfazione professionale del personale.
Quanto, poi, alla percezione della carenza di personale negli ospedali essa si acuisce anche perché la politica non ha saputo ancora assolvere compiutamente l’obbligo legislativo di trasferire la gestione della cronicità nel territorio.
La capacità di motivare, non solo economicamente, di creare clima organizzativo e senso di appartenenza, di valorizzare il merito e le competenze, di realizzare percorsi di carriera che responsabilizzino i professionisti sulla gestione diretta delle attività sono paradigmi fondamentali del management ai quali la politica ha spesso abdicato per incompetenza o magari per convenienza individuale.
Ora suscita grande scalpore il fatto che i medici fuggano dagli ospedali pubblici. Ma dove vanno? Nel privato accreditato. Chiediamoci allora con quali risorse viene finanziato quest’ultimo. Sono riflessioni che sorgono spontanee quando due realtà, che dovrebbero creare sinergie virtuose, si confrontano nel conflitto di finanziamento pubblico. E allora diciamolo che, a risorse invariate, se uno cresce l’altro inevitabilmente finisce per ridimensionarsi.
I numeri raccontano purtroppo che le economie nel pubblico si fanno con tagli al personale, sempre più vecchio, usurato, demotivato sempre più orientato a cercare altri spazi professionali. Sarà questa ignavia governativa o piuttosto intelligente regia politica per smantellare un ormai scomodo servizio sanitario pubblico? Chi vive la quotidianità del fabbisogno assistenziale può già darsi una risposta.
Ben venga quindi la denuncia corale contro i tagli al Ssr e alle aziende sanitarie, meglio però se affiancata dall’analisi delle non poche responsabilità gestionali.
Alberto Pozzi, vicesegretario Fvm Veneto
12 aprile 2018