No: gli allevamenti non sono né lager né industrie inquinanti
Gli allevamenti producono polveri sottili? Si, ma non nella misura catastrofica che viene diffusa da media generalisti e associazioni ambientaliste. Analogamente, per produrre carne, ma anche latte o altri derivati animali, serve che le colture foraggere ricevano acqua. In più, gli animali necessitano di mangimi, motivo per il quale vengono visti in competizione con l’Uomo per il cibo.
Anche su tali temi, acqua e cibo, si è già scritto su AgroNotizie tramite alcuni approfondimenti dedicati, dimostrando che no: i 15mila litri per chilo di carne sono una palese esagerazione (l’acqua peraltro non viene “consumata” bensì trasformata), come pure solo il 14% di tutto ciò che mangiano globalmente i bovini da carne sarebbe utilizzabile come alimento dagli esseri umani. L’86% della loro alimentazione è di fatto composto da matrici utilizzabili dai bovini, ruminanti, ma non da noi. Quindi negli allevamenti vengono trasformati in alimenti nobili delle matrici inutilizzabili tal quali da organismi monogastrici quali noi siamo (Fonte: Fao).
Anche in termini di emissioni di gas serra agricoltura e zootecnia sono spesso accusate di essere addirittura la prima causa dei cambiamenti climatici. Fatto ovviamente non vero, come dimostrato in tempi recenti dall’Agenzia americana per l’ambiente (Epa), la quale ha messo nero su bianco come il comparto primario statunitense emetta l’11% di gas serra sul totale, riassorbendone però il 13%. Sarebbe cioè un sottrattore netto di emissioni nocive. E non è pensabile un comparto primario privato degli allevamenti, poiché sono questi a restituire alla terra ciò che le è stato sottratto con le produzioni agricole.
Anche sul termine “intensivo“, guardato solitamente dai media come fosse una pesante imprecazione blasfema, si potrebbe aprire un lungo dibattito. Basti però sapere che tramite la corretta intensificazione, in 70 anni circa il comparto lattifero americano ha raddoppiato la produzione complessiva riducendo di oltre il 40% le emissioni di gas serra dovute allo specifico settore. In termini invece di emissioni per unità prodotta, cioè per litro di latte, queste erano pari a 3,66 kg nel 1944, ma già nel 2007 erano scese a 1,35 kg (-63%). Il tutto, grazie proprio all’intensificazione dei processi.
Quanto agli “allevamenti lager“, ve ne sono di sempre aperti per verificare coi propri occhi di quanto farlocca sia questa accusa. Anche perché è dagli anni ’70 che sono iniziate le normative per il benessere animale. Una condizione peraltro vincolante per l’ottenimento dei contributi.
Oltre a quanto ricordato sopra, vi sono anche altre realtà che contestano lo storytelling antizootecnia, come avviene nell’esempio a seguire.
La posizione di Carni Sostenibili
Carni Sostenibili è un’associazione italiana che rappresenta le filiere della lavorazione e trasformazione delle carni. Il suo l’obiettivo è quello di promuovere la produzione sostenibile e il consumo consapevole di carni e salumi.
Trattasi di Lobby? Sì. Del resto anche le lobby “green” hanno precisi interessi di parte che con l’ambiente hanno spesso poco a che vedere. Quindi, visto che di spazi sui media queste ultime ne trovano in abbondanza, si è ritenuto corretto dare voce anche alla lobby opposta.
Quanto agli aspetti economici della zootecnia, stando a Carni Sostenibili, il settore zootecnico europeo rappresenta il 38,5% dell’intero comparto agricolo per un valore di 206 miliardi di euro. Circa 4 i milioni di addetti. Un settore che quindi merita anche specifiche pubblicazioni, come per esempio libri.
In tal senso al Parlamento Europeo si è recentemente tenuto un evento di presentazione del libro “Meats And Cured Meats: The New Frontiers of Sustainability” (Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina) edito in formato open access. Economia circolare, ambiente e corretta alimentazione i contenuti del libro la cui lettura si consiglia.
L’evento è stato promosso dall’eurodeputato Salvatore De Meo, Presidente della Commissione Affari Costituzionali e membro della Commissione Agricoltura, e ha visto la partecipazione, oltre che degli autori, anche di Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia.
Circa le emissioni, considerando il bilancio dei gas serra e il sequestro di carbonio dei sistemi rurali, il settore agricolo europeo pesa oggi per il 4,6% del totale. Un dato sul quale si è espresso anche Giuseppe Pulina, docente di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti all’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili: “L’intero comparto agricolo in Europa ha ridotto le proprie emissioni di oltre il 18% tra il 1990 e il 2021. L’agricoltura è l’unica attività umana che, oltre a emettere carbonio, contemporaneamente lo sequestra. Ecco perché, anche quando si parla di zootecnia, non si deve parlare di sole emissioni climalteranti, ma di bilancio fra queste e sequestro di carbonio da parte degli agroecosistemi. Ma vi è di più – prosegue Pulina – in questi anni la comunità scientifica e le istituzioni hanno evidenziato la necessità di sviluppare nuove metriche per calcolare le emissioni, capaci di tenere in considerazione la tipologia di gas climalteranti e della loro permanenza in atmosfera“.
Del resto, già nel 1990 l’Ipcc affermava che tutte le metriche fino ad allora utilizzate presentavano limitazioni e incertezze. E proprio per colmare questa incertezza una radicale revisione delle metriche è stata proposta dal team di fisici dell’atmosfera dell’Università di Oxford con diverse pubblicazioni su riviste scientifiche del gruppo Nature.
“Così ricalcolate – spiega Pulina – le emissioni dell’intero settore agricolo europeo peserebbero non l’11,8% (o il 4,6% se compensate dai riassorbimenti) del totale, ma diventerebbero addirittura negative. Lo studio dei ricercatori di Oxford prende in considerazione per la prima volta la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, quale il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga, quale l’anidride carbonica. Le nuove metriche tengono conto di questa differenza e in particolare di quanto un gas permane in atmosfera, una differenza sostanziale se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica permane in atmosfera per circa mille anni“.
Carne e alimentazione
Gli alimenti di origine animale apportano il 55% degli aminoacidi essenziali nella nutrizione mondiale. Un punto sul quale si è soffermata Elisabetta Bernardi, nutrizionista, biologa e specialista in Scienze dell’alimentazione, che ha evidenziato il valore degli alimenti di origine animale nell’ambito dell’alimentazione umana: “Recenti studi permettono di valutare la qualità delle proteine negli alimenti in rapporto al fabbisogno degli esseri umani. Se è vero che i prodotti di origine animale apportano solo il 18% delle calorie, essi contribuiscono per il 34% delle proteine e per il 55% degli aminoacidi essenziali. Questi ultimi sono parametri chiave nella valutazione della qualità degli alimenti e – aggiunge Bernardi – quando viene calcolata l’impronta ambientale di un alimento di origine vegetale o animale, considerando la capacità di questo alimento di coprire i fabbisogni umani di aminoacidi essenziali, l’impronta ecologica degli alimenti di origine animale, sia come uso del suolo, sia come emissioni di gas a effetto serra, è pressoché simile o addirittura inferiore a quella relativa alla produzione di proteine vegetali, a eccezione della soia, che però non è nella tradizione mediterranea”.
Conclude infine Elisabetta Bernardi: “Recenti studi, inoltre, hanno riabilitato la carne rossa perché esistono limitate evidenze scientifiche e fattori confondenti (bias) fra questo alimento e i rischi per la salute, ed è sempre necessario considerare la dieta nella sua totalità”.
Allevamenti ed economia circolare: il fronte bioenergetico
L’Italia è il 4° produttore al mondo di biogas e 2° in Unione Europea dopo la Germania. Un dato che ha funto da punto di partenza sul tema della sostenibilità degli allevamenti italiani, trattato da Ettore Capri, docente di Chimica agraria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha fatto il punto sul modello italiano, ricordando come il sistema zootecnico nazionale sia un modello avanzato a livello non solo europeo di economia circolare.
“Negli ultimi anni – ricorda Ettore Capri – abbiamo assistito a una progressiva presa di coscienza del comparto che ha metodicamente provveduto a rigenerare le risorse e a diminuire gli scarti. Nello stesso senso va lo sviluppo delle attività di Carbon Farming: una serie di pratiche agricole volte alla produzione alimentare che nel contempo sono in grado di sequestrare con maggiore efficienza il carbonio atmosferico. È un processo naturale ecosistemico che l’allevamento del bestiame intensifica grazie al ruolo primario svolto dalla produzione di sostanza organica da destinarsi al suolo secondo un principio di economia circolare delle risorse e lo sviluppo di comunità energetiche sui territori”.
Carni coltivate: nemiche vere o solo presunte?
Ovviamente, nel comunicato di Carni Sostenibili non poteva mancare una nota sulle carni coltivate, bollate erroneamente come “sintetiche” o “artificiali“. Il comparto della carne, ça va sans dire, preme affinché non si autorizzi la loro produzione e commercializzazione senza averne valutato prima a pieno tutti i rischi. Fatto che, altrettanto ovviamente, verrà fatto da Efsa come per qualsiasi altra cosa venga proposta in Europa a fini alimentari.
Si teme però che sul concetto di valutazione dei rischi, il comparto delle carni possa diventare terribilmente simile alle lobby ambientaliste che tanto contrasta con vigore quando demonizzano gli allevamenti, paventando rischi e danni che, come visto sopra, sono ben lungi dall’essere correttamente stimati.
Per quanto abbia ragione Luigi Scordamaglia quando ricorda che “[…] nel mondo 1,3 miliardi di persone devono esclusivamente il loro sostentamento ad attività legate alla allevamento”, altrettanto va ricordato come le carni coltivate siano ben lungi dal minacciare un tale numero di persone. A meno di pensare che i pastori degli altipiani etiopi o delle lande etremo-orientali si prendano la briga di spendere metà del loro reddito annuo per provare un hamburger di carni coltivate dal gusto e dalla consistenza non certo pari a quella di una T-Bone di Angus.
Se da un lato si concorda cioè con Carni Sostenibili quando si oppone ai maramaldi tentativi pseudo-green di smantellare le attività agricole e zootecniche, si dubita che le carni coltivate potranno mai rompere “[…] il legame fra terra e produzione del cibo”.
Se quindi è cosa buona e giusta dare una “[…] risposta alla domanda di sostenibilità”, non si ritiene siano giustificati i timori del comparto che questa sostenibilità venga dal “[…] delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo”.
Affermazioni da sfatare
Purtroppo, nel tentativo di dipingere a tinte fosche le carni coltivate si è caduti ancora nell’informazione fuorviante per la quale “[…] secondo Fao e Oms esistono almeno 53 potenziali pericoli per la nostra salute legati al possibile consumo di carne artificiale”. Di fatto, quei pericoli potenziali sono per lo più quelli standard che vengono indicati per qualsivoglia processo alla base della produzione di cibo. Ricordare, come fatto da Fao e Oms, che bisogna stare attenti, per esempio, alle contaminazioni chimiche o batteriologiche, non implica che le carni coltivate conterranno sostanze chimiche o agenti batterici pericolosi per la salute.
Un’eventualità, questa, che capita ogni tanto anche nei prodotti tradizionali. Per esempio, vi sono batteri come la Listeria monocytogenes che possono risultare letali se ingeriti e talvolta vengono rinvenuti in partite di prodotti alimentari tradizionali, come per esempio in carni avicole e wurstel. Persino dei comuni meloni hanno fatto da vettore al patogeno, causando decine di morti negli Usa. Senza dimenticare la cinquantina di decessi in Germania dovuti alla contaminazione di Escherichia coli di alcune partite di germogli di soia, pure bio. Oltre ai decessi, vi furono 4.174 ricoverati in condizioni serie e 864 di questi furono dovute a insufficienza renale acuta.
Intrusioni sgradite possono capitare perfino in industrie ad altissimo grado di sicurezza, come per esempio quello di Ferrero ad Arlon in Belgio, ove si sarebbe rilevata la presenza di alcune partite di prodotti forse contaminati da Salmonella. Un batterio che ha provocato ritiri precauzionali anche di partite di “Sopressa Nostrana” o di alcuni “Tomini del Boscaiolo“. Giusto per chiarire che se non sono “imperforabili” degli impianti di massima sicurezza come quelli della Ferrero, tanto meno lo sono piccoli e medi impianti di produzione di carattere più artigianale.
Quindi, solo chi è senza peccato può davvero scagliare la prima pietra.
A conferma, per meglio chiarire la posizione di Fao e Oms si riporta la traduzione della puntualizzazione fatta sul tema “pericoli” e “rischi”, reperibile a pagina 77 del documento in pdf pubblicato dalle due Autorità delle Nazioni Unite.
“È importante notare che esiste una differenza significativa tra i termini ‘pericolo’ e ‘rischio’. Secondo il Codex Alimentarius, un ‘pericolo’ per la sicurezza alimentare è spiegato come ‘un agente biologico, chimico o fisico presente in, o una condizione di, un alimento con il potenziale di causare un effetto negativo sulla salute’ e un ‘rischio’ per la sicurezza alimentare è descritto come ‘una funzione della probabilità di un effetto avverso sulla salute e della gravità di tale effetto, conseguente a uno o più pericoli presenti negli alimenti’. In questo capitolo vengono presentate quattro tabelle (Tabelle 5-8) con un elenco di potenziali pericoli associati agli alimenti basati su cellule. È fondamentale che i lettori comprendano appieno i rispettivi termini e non confondano l’elenco dei pericoli con l’elenco dei rischi”.
Sulla confusione, spesso creata ad arte, fra “pericoli” e “rischi” in AgroNotizie® c’è già una ricca bibliografia, per esempio su ogm, neonicotinoidi e glifosate. Magari sulle carni coltivate, anche no.
Le normative già in parte ci sono
A garanzia della salute dei consumatori esistono già oggi leggi severe e controlli puntigliosi. I ritiri precauzionali di cui sopra ne sono una prova: al primo sospetto, le partite vengono ritirate. Basterebbe quindi fare una visita a una “banale” fabbrica di yogurt per comprendere come una gran parte della possibile normativa per le carni coltivate sia già scritta e disponibile. Circa poi la mancanza di studi sul consumo di questi prodotti, descritti come “[…] addizionati di ormoni, antibiotici e antimicotici”, va infine ricordato come alcune carni coltivate abbiano già ottenuto in America le debite autorizzazioni alla vendita da parte della Food and Drug Administration e di Usda, il Dipartimento per l’Agricoltura.
Da anni vengono inoltre consumati a Singapore e pure in Israele stanno ottenendo riconoscimenti. Non sono cioè “cellule impazzite“, come descritto in certi manifesti che per i contenuti raccapriccianti fanno impallidire quelli delle più spregiudicate associazioni ambientaliste. Cioè quelle che da decenni usano il mantra degli ormoni e degli antibiotici per demonizzare proprio il comparto zootecnico tradizionale.
Meglio sarebbe quindi – e più dignitoso – astenersi dall’usare retoriche d’attacco alle carni coltivate che contengano argomentazioni strumentali e spesso false già viste in tema di carni, latte, uova e chi più ne ha più ne metta. Non fa cioè onore al comparto zootecnico italiano attingere argomenti fallaci dall’allarmismo ecoanimalista antiallevamenti al fine di suscitare analoghi allarmismi contro le carni coltivate.
Per concludere…
Quindi, per concludere, così come si è data voce a Carni Sostenibili per contrastare la disinformazione anti-zootecnia, è bene fare altrettanto con le carni coltivate, alle quali è stata infatti dedicata un’apposita intervista, come pure è stato elaborato un dettagliato argomentario su quanto affermato durante la seduta in Senato del luglio 2023, quando si registrarono addirittura affermazioni che sconfinavano nel negazionismo climatico. Argomento privo di senso, questo, soprattutto se illusoriamente impiegato per contrastare chi, altrettanto debolmente, tenta di far passare le carni coltivate quali salvatrici del mondo dal Global Warming.
Perché un conto è contrastare chi vuole demolire un comparto strategico e indispensabile come quello degli allevamenti. Un altro è erigere barricate contro qualcosa che, appunto, si sta valutando con la massima attenzione e che non verrà comunque autorizzato in Europa sinché Efsa non si sarà espressa. E non si vedono al momento ragioni per le quali si debba esprimere nel senso della proibizione, dato che di rischi palesi, al momento, nelle carni coltivate non se ne vedono.
Si spera quindi che l’eventuale approvazione di Efsa, al momento vista come probabile da chi di carni coltivate ne capisce davvero, non generi reazioni scomposte da parte di chi, a quel punto, parlerebbe solo e unicamente come lobby a difesa di se stessa, appunto, anziché da esperti in materia.
AgroNotizie