di Carlo Petrini*
«Tremila tonnellate di mangime tossico sequestrato nella grande Germania. Ma quante altre migliaia saranno sparse perle aziende di allevatori? Questa putrida infezione quanto ha contaminato oltre alle uova anche il latte e la carne bovina? Perché dinanzi ai primi casi di intossicazione(marzo 2010) con tracce pericolose di diossina rilevate nelle uova e nelle carni di pollo non si è immediatamente corsi ai ripari? Queste e altre domande saranno poste alle autorità tedesche da un’opinione pubblica tutt’altro che acquiescente. Nel frattempo le diverse comunità chiedono ai loro governi garanzie e certezze e le risposte sono, come è ovvio, sempre le stesse: «State tranquilli, da noi i controlli sono seri. I nostri prodotti sono marchiati e tracciabili, sono e restano sicuri».
Non c’è distinzione di contenuti tra le dichiarazioni di esponenti di governo italiani, francesi, spagnoli e finan-co inglesi: «Questa volta è toccato ai tedeschi. Che vergogna! Noi siamo più scrupolosi e più seri». Seguiranno da un lato le opportune indagini giudiziarie e al contempo una serie di riunioni tecniche su scala europea per predisporre interventi di maggior controllo e tutela. Nel frattempo la catena alimentare avrà ricevuto un altro piccolo scossone, qualche patologia sospetta verrà lasciata decantare poiché è «criminale» generare panico tra la gente e tutti attenderemo la prossima puntata di questa storia infinita. Penso che, ormai, non è più serio fare troppe distinzioni tra l’atto criminoso di questa società a delinquere, la Harles Und Jentzsch che scientemente inseriva nei mangimi grassi animali contaminati da diossina, e la situazione di un ambiente che ci circonda e che giorno dopo giorno supera i livelli di guardia della nostra sicurezza alimentare.
Da un lato i delinquenti patentati e dall’altro il quieto vivere di un sistema produttivo che distrugge la fertilità dei suoli, la salubrità delle acque e inquina l’aria. Sono le due facce di una stessa medaglia che compromette la nostra salute e il nostro futuro e che genera l’unica vera patologia di questa società: l’avidità e il profitto al di sopra di tutto. Una storiella morale coreana sosteneva che il saggio contadino quando otteneva tre fagioli, uno lo teneva per sé, l’altro lo condivideva con la comunità e il terzo lo riconsegnava alla terra.Dire che oggi i tre fagioli non bastano perla nostra avidità è dire poco e la natura ci sta ripagando con gli interessi. «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»: l’articolo 32 della nostra Costituzione è quotidianamente sfregiato da un ambiente sempre più compromesso.
Allevamenti intensivi con le deiezioni animali inquinano la prima e la seconda falda acquifera in ampie zone del Paese. Ci facciamo belli sulla qualità dei nostri prosciutti e delle norme sanitarie per produrli (le più rigorose al mondo) nel momento in cui quelle falde inquinate infestano buona parte dei terreni agricoli. Le connessioni tra cibo, ambiente, produzione animale e vegetale, salute, benessere, economia sono cosl forti da richiedere un approccio non solo di natura specialistica, ma una visione d’insieme.
Perché ciò avvenga dobbiamo pretendere un’informazione dettagliata su tutto il ciclo produttivo, io direi quasi: «Meno norme, più informazioni». II panico collettivo non si supera con il silenzio e le rassicurazioni di questo o quel ministro, ma con una grande mobilitazione per divenire soggetti attivi, meno consumatori e più co-produttori. Ricordiamocelo quando nelle sedi istituzionali, complice la nostra indifferenza, potenti lobby dell’agro-business, vorranno frenare l’informazione, la trasparenza, la conoscenza delle forme di alimentazione degli animali, la provenienza delle materie prime, le tecniche di trasformazioni e i sistemi di conservazione. Non è più il tempo di delegare queste conoscenze ad altri, è ora di dire: vogliamo sapere tutto e subito.
* presidente di Slow Food
Repubblica.it
9 gennaio 2011