L’Inps ha messo in coda le pratiche ordinarie di pensione — diminuite di un quarto da un anno all’altro — per accelerare su quota 100. E per questo — grazie a uno sforzo titanico dei suoi dipendenti costretti a straordinari anche nei fine settimana — si prefigge ora di assicurare l’assegno così caro alla Lega a 50 mila quotisti entro i primi di maggio. Al punto da autorizzare tre finestre di erogazione nel mese di aprile: 1, 8 e in un’altra data dopo il 20. Un fatto senza precedenti.
Quota 100, la possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro con almeno 62 anni e 38 di contributi, si conferma dunque un imbuto per tutte le altre domande, come raccontano le storie di tanti aspiranti pensionati. A confermarlo, nonostante l’Inps neghi, non sono però solo le “via crucis” di molti, senza più stipendio e neanche pensione anche da 14 mesi, contro accettazioni sprint in due ore e mezzo o una manciata di giorni per i quotisti. Lo dimostra ora un documento interno che Repubblica è in grado di raccontare. E che smentisce quanto l’Istituto — l’ultima volta con il comunicato del 10 aprile — afferma.
L’Inps dice che tra gennaio e marzo di quest’anno sono state accolte 113.781 domande, il 14% in più dell’anno prima quando furono 100.141. Escludendo dal computo quota 100, l’Inps sostiene di aver approvato il 72% delle richieste di pensione “normali” presentate nel primo trimestre (vecchiaia ed anticipata), contro il 68,6% del 2018. Tanto basta per rivendicare un successo e per smentire « una presunta precedenza assegnata alle domande di quota 100 » . Se si guarda però alla tabellina con i numeri assoluti (non divulgata), la storia cambia.
Si scopre che le domande accolte di pensioni anticipate sono calate del 22% ( da 59.388 a 46.235). Quelle di vecchiaia del 25,5% ( da 40.753 a 30.374). Un quarto in meno, all’incirca. Quando dunque si scorpora quota 100 dal totale, emerge ciò che cittadini e patronati sanno già: quota 100 gode di una corsia preferenziale. I freddi numeri non ingannano: 23.532 pratiche ” normali” in meno nei primi tre mesi dell’anno a favore di 37.172 nuove pratiche di quota 100 (che nel 2018 non esisteva) approvate e poi pagate in aprile. Se nessuno nega che «l’Istituto è tenuto a dare applicazione agli atti, come i decreti legge» — in riferimento al decreto 4 istitutivo di quota 100, oltre che del reddito di cittadinanza —, non si capisce però perché i cittadini, a parità di diritti, siano trattati con priorità differenti. Al solo scopo, probabilmente, di accelerare in vista delle Europee, quando Cinque Stelle e Lega vorranno incassare un dividendo elettorale dall’implementazione delle loro misure bandiera.
L’Inps nega in modo categorico: « L’impegno profuso dall’Istituto ha consentito di liquidare oltre la metà delle pensioni quota 100 aventi decorrenza 1 aprile, senza che ciò abbia comportato un allungamento dei tempi di pagamento delle altre tipologie di pensione, con un volume di nuove pensioni liquidate sensibilmente migliorato nel primo trimestre 2019 rispetto al 2018».
Invece — si è visto —, le pensioni “normali” calano di un quarto. E non basta affermare che il 72% delle domande pervenute sia stato soddisfatto. Perché conta pure la variazione delle richieste accettate da un anno a un altro. Variazione che, in questo caso, l’Inps calcola solo sul totale (+13,62%, come si vede dalla tabella) e non sugli addendi (le pensioni “normali”). Operazione che così avrebbe finito per segnalare rispettivamente -22% e -25,5%.
A questo puntavano, d’altro canto, la comunicazione 1008 dell’11 marzo e la comunicazione 1062 del 14 marzo. Due circolari interne inviate agli uffici territoriali per chiedere di fare in fretta su quota 100, accettando domande «anche in mancanza del certificato del datore di lavoro » che attesta le dimissioni del richiedente. E per assicurare un premio di produttività legato pure a quota 100 per i dipendenti in grado di sveltire queste pratiche. I risultati sono lì, nero su bianco.
La repubblica