È l’epoca dei tagli, d’accordo. Ma, per risparmiare, le forbici della crisi fanno rotta anche sui giorni di malattia dei lavoratori. Quest’anno i permessi devono essere ridotti del 3% rispetto al 2012, dice una circolare dell’Inps. E per raggiungere questo obiettivo il modo è semplice: le visite fiscali devono essere più fiscali. Il documento dell’Istituto nazionale di previdenza è del 16 gennaio scorso, serve per la «programmazione e il budget delle strutture territoriali nel 2013». Una lista degli obiettivi fissati per quest’anno. Si parla di tante cose in quelle 34 pagine, anche di «miglioramento dell’economicità delle visite di controllo», cioè le visite fiscali. E come si migliora questa economicità? Con «l’incremento del 3% degli importi recuperati per effetto della riduzione della prognosi».
Riduzione della prognosi, cioè meno giorni di malattia: il nodo è proprio questo. Le visite fiscali servono a controllare che il certificato firmato dal medico di famiglia non sia troppo generoso o addirittura falso. Il medico fiscale può ridurre o addirittura cancellare il permesso dal lavoro se il malato (e il certificato) sono immaginari. Non capita spesso ma a volte sì. E quando capita l’Inps risparmia: dal quarto giorno di malattia in poi è proprio l’istituto di previdenza a pagare stipendio e contributi al posto del datore di lavoro. Cancellare qualche giorno di permesso, quindi, vuol dire per l’Inps limare una voce di spesa che vale ogni anno 2 miliardi di euro. La metà di quello che ci è costata l’Imu sulla prima casa, tanto per pesare all’ingrosso la questione. Giusto che l’Inps voglia risparmiare, anche perché lo farebbe sulla pelle dei furbetti del certificato. Ma è giusto pure fissare quell’obiettivo prima delle visite di controllo, un 3% a prescindere, come fosse il rapporto deficit Pil secondo Bruxelles o le spese da ridurre a insindacabile giudizio del ragioniere d’azienda?
«Così l’Inps dice che il 3% dei certificati firmati dai medici di famiglia è falso» protesta Roberto Carlo Rossi, presidente dell’ordine dei medici di Milano. «Hanno messo la malattia delle persone alla voce costi, come la carta per le stampanti o il toner. Inaccettabile». Una serie di obiezioni che il dottor Rossi ha spedito per lettera all’Inps, con parole accorate: «Il medico che formula una prognosi non può e non deve seguire logiche di carattere economicistico». Ricordando che la legge e il codice deontologico «vietano qualsiasi atteggiamento compiacente» del medico e ne garantiscono «l’indipendenza e la libertà di giudizio».
Giù le mani, anzi le forbici, dal certificato. Il problema esiste, però. E non bisogna arrivare ai casi clamorosi, ai malati più immaginifici che immaginari come il magistrato assente per mal di schiena ma pizzicato a regatare in Gran Bretagna, o l’insegnante che il suo certificato lo spediva nientemeno che dalle Bahamas. L’assenteismo c’è, chiunque lavori in un ufficio lo sa. Ancora adesso, solo per fare un esempio, il giorno in cui ci sono più malattie è proprio il lunedì. Con buona pace del ministro della Salute Costante Degan che 30 anni fa, quando di fatto creò il medico fiscale, disse che «darsi malati in ufficio, magari per allungare il week end, diventerà quasi impossibile».
Gli abusi non sono soltanto un costo per l’Inps, cioè per le casse pubbliche e quindi per tutti. Ma anche un’ingiustizia per chi si dà malato solo quando lo è sul serio. «Per carità – dice il presidente dell’ordine dei medici milanesi – qualcosa si può aggiustare. Ma invece di tagliare le malattie dall’alto discutiamone tutti insieme: l’Inps, il ministero della Salute, i medici. E vediamo che cosa si può migliorare». Per il momento la sua lettera è rimasta senza risposta. E dall’Inps parlano di polemica esagerata. Perché quella circolare è solo un documento di programmazione interno. E perché la riduzione del 3% è una «tendenza attesa, che deriva anche dall’andamento degli ultimi anni». Ma il dibattito è aperto perché l’Inps è disponibile ad un «tavolo di confronto a livello nazionale».
Se è vero che gli sprechi e i furbi sono da combattere, del resto è anche vero che l’austerità può fare male alla salute. Non lo dice l’ordine dei medici, che in questa vicenda difende anche i suoi iscritti, ma The Lancet , una delle riviste scientifiche più autorevoli del mondo. I suoi ricercatori hanno confrontato le misure prese per raddrizzare i conti in Grecia, Portogallo e Spagna con quelle adottate in Islanda, dove le sforbiciate al welfare pubblico sono state minori. E sono arrivati alla conclusione che tagliare la sanità per correggere le finanze pubbliche è pericoloso non solo perché può aggravare la recessione, scaricando i costi sulle famiglie. Ma perché aumenta i tassi di suicidio, alcolismo, depressione e malattia mentale. (Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera)
Anche il ministro della Salute, Renato Balduzzi, si è detto perplesso. Intervenuto a “Prima di tutto” su Rai Radio 1 ha sottolineato che «le percentuali possono essere un obiettivo da raggiungere con un percorso di monitoraggio di verifiche e controlli. Non sono contrario – ha aggiunto – a fissare obiettivi anche numerici, ma per arrivarci non si può’ immaginare una sorta di riduzione automatica, per decreto. La cosa deve essere affrontata raccogliendo esattamente i dati e aprendo una riflessione con tutti i protagonisti».
Stempera le polemiche, invece, la Fimmg, il maggior sindacato dei medici di famiglia. «Il medico fiscale – precisa il segretario, Giacomo Milillo – va a verificare se, nell’ambito di una prognosi possibile, il paziente è o non è idoneo alla sua mansione specifica. La visita fiscale serve proprio a questo, non a controllare il comportamento dei medici di famiglia. Questo è un equivoco, un pregiudizio». Per MIlillo, l’indicatore scelto «è infelice» e il processo «avrebbe potuto essere più intelligente e meno fraintendibile ma in realtà, chi si intende di verifica e misura della qualità, sa che quell’indicatore è mirato a r isparmiare, a produrre più ore di lavoro e pagare meno indennità secondo un criterio di qualità».
8 aprile 2013