Più poliglotti, all’avanguardia sulle nuove tecnologie, provetti chimici o “guru” dello sport. Ambizioni e sogni professionali che frullano nella testa dei giovani appena iscritti a quelle facoltà universitarie che negli anni della crisi hanno calamitato matricole, in controtendenza rispetto all’andamento generale, appesantito dal calo di vocazioni per economia, giurisprudenza e scienze della comunicazione.
I dati complessivi per l’anno accademico 2013-2014, certificati dal Cun (Consiglio universitario nazionale), evidenziano 266.477 immatricolati, poco meno di 228mila ai corsi triennali e 39mila a quelli a ciclo unico. Dati ancora in attesa dell’imprimatur ufficiale del Miur (e che potrebbero subire piccole variazioni), da cui emerge un calo di 40mila matricole (-13%) rispetto al pre-crisi (2007/2008).
Un trend che amplifica quello demografico – i 19enni sono 30mila in meno nei sei anni considerati – probabilmente a causa delle ricadute negative della recessione, che ha ridotto i redditi delle famiglie e le opportunità di lavoro per i giovani, anche con un titolo di studio elevato in tasca. «Dopo l’aumento dal 2000 al 2003 – commenta Andrea Cammelli, presidente del Consorzio AlmaLaurea – dovuto in gran parte all’ingresso robusto nell’università riformata di popolazione di età adulta, negli ultimianni si è registrato un vistoso calo, tanto che oggi solo tre 19enni su dieci si immatricolano, provenendo da famiglie più agiate. Il resto non accede ai corsi universitari spesso per l’assenza di una seria politica del diritto allo studio».
La variazione negativa è concentrata nel Sud: in quest’area, secondo il report del centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore, il calo è di 27mila matricole (-20%), oltre quattro volte superiore alla diminuzione che si registra nel Nord (-3,5% a Ovest e -5,5% a Est).
«È l’effetto combinato – osserva Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia all’università di Milano Bicocca – dell’andamento della popolazione, che ha visto “sparire” quasi 20mila 19enni nelle regioni meridionali, e dello scoraggiamento dei giovani che sempre più spesso pensano che la laurea serva poco a trovare un’occupazione».
A livello di facoltà, però, lo scenario cambia. Il gruppo dei corsi scientifici infatti è in recupero e ha guadagnato terreno su quelli economico-sociali. Delle nove aree che hanno aumentato le immatricolazioni nel 2013/2014 rispetto al 2007/2008, sette sono di ambito scientifico, sebbene al secondo gradino del podio si inserisca lingue (+20,5%), che supera di un soffio ingegneria industriale (+20,2%).
Al primo posto, come trend, troviamo scienze agrarie, forestali e alimentari: +72% rispetto al precrisi, con circa 8mila new entry. Segni positivi anche per fisica (+17%), ingegneria dell’informazione (+13%), mediazione linguistica (+11%). E poi chimica, scienze motorie e informatica.
«Tutte facoltà più orientate sul mercato del lavoro – sottolinea Cammelli – e con lo sguardo verso l’estero. Conoscere le lingue e fare stage durante gli studi aumentano infatti di molto le chance di trovare un impiego».
La maglia nera, invece, va ad architettura e ingegneria edile (-43%), che risente della crisi dell’edilizia, ma anche della stretta sui posti delle facoltà a numero chiuso. Penultima è scienze dei servizi giuridici (-43%), che forma figure intermedie per tribunali e studi legali, preceduta da farmacia (-33%). Tra le facoltà in calo, ma più in alto nel ranking, troviamo, insieme a scienze della comunicazione (-25%), un po’ a sorpresa economia aziendale (-21%) e giurisprudenza (-23%).
«Sembra che la crisi – osserva Laura Zanfrini, ordinario di sociologia all’Università Cattolica – abbia minato la fiducia anche verso quei percorsi considerati in passato “sicuri”, capaci di fare dell’istruzione un investimento redditizio, senza rischi e incognite».
Oggi, nel complesso, la torta delle matricole si divide in quattro fette: il 70% si distribuisce equamente tra la macro-area scientifica e quella economico-sociale, il 19% va ai corsi umanistici e l’11% a quelli sanitari.
Il Sole 24 Ore – 11 agosto 2014