La Stampa. La ragione che ha spinto Giorgia Meloni a concentrare il poco a disposizione per aumentare il potere d’acquisto dei redditi più bassi è nei dati preliminari dell’inflazione di aprile. Aveva iniziato a scendere, invece è risalita, e di molto: dal 7,6 all’8,3 per cento. Un aumento molto più alto della media della zona euro (dal 6,9 al 7 per cento) ed essenzialmente causato dall’energia: i prezzi “non regolamentati” sono saliti in un mese dal 18,9 al 26,7 per cento.
Ora, vero è che gli economisti guardano essenzialmente all’andamento “core” dell’inflazione, ovvero senza la componente energetica: in Italia è fermo al 6,3 per cento ed è sceso di un decimale in Europa. Ma si tratta ancora di piccoli segnali che lasciano poco spazio alla fantasia. I prezzi restano alti come non accadeva dagli anni Ottanta, e perché tornino a livelli accettabili occorreranno mesi. Se negli Stati Uniti il peggio è alle spalle, in Europa no. Questa settimana sia la Banca centrale europea che la Federal Reserve aumenteranno i tassi dello 0,25 per cento. Per la Fed sarà probabilmente l’ultimo, per Francoforte no. E così al governo non resta che puntare tutto sui redditi delle famiglie.
Meloni è in buona compagnia: Joe Biden è dovuto intervenire per calmierare i prezzi dei medicinali, il brasiliano Lula ha annunciato (anche lui il primo maggio) l’allargamento delle famiglie esenti dal pagamento delle imposte sul reddito. In Francia, già martoriata dalla decisione di Macron di aumentare l’età pensionabile (da 62 a 64 anni) c’è una dibattito feroce attorno alla pubblicazione di un romanzo sentimental-erotico del ministro dell’Economia Le Maire. «Ecco perché la pasta costa due euro e trenta al chilo», hanno commentato alcuni. Questi sono i momenti in cui un basso debito pubblico fa la differenza: dieci giorni fa in Germania è stato firmato un accordo sindacale per aumentare i salari del pubblico impiego del 5 per cento: costerà 23 miliardi in due anni. I sindacati chiedevano il doppio. Per avere un termine di paragone: la Finanziaria italiana di quest’anno non ha stanziato nemmeno un euro per i rinnovi pubblici, e al momento è difficile immaginare ci siano le risorse nel 2024.
Nei giorni precedenti l’approvazione del decreto del primo maggio il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti ha dovuto frenare le richieste di chi avrebbe voluto altre misure, una scelta che avrebbe reso meno visibile il taglio dei contributi sociali in busta paga. Ma ora per rendere strutturale quel taglio nel 2024 occorrerebbero dieci miliardi, una cifra immaginabile solo a fronte di tagli alla spesa. L’impressione è che Giorgetti, d’accordo con Meloni, abbia deciso di concentrare l’intervento su cinque mesi spingendo il dibattito verso una conferma. «In mezzo a molte difficoltà queste misure temporanee le stiamo rendendo definitive», ha detto il primo maggio ad una festa leghista a Brescia. Fonti del Tesoro negano una strategia, e la speranza è che «l’incendio dei prezzi si spenga». Ma è difficile immaginare che Meloni avrebbe diversamente accettato di ridurre il carico fiscale correndo il rischio di riaumentarlo con l’anno nuovo. Più probabile immaginare che la premier userà questo argomento contro chi, nei partiti e nei sindacati, tenterà in autunno di ottenere risorse per spese oggi irrealistiche come l’abbassamento dell’età pensionabile. Una ipotesi su cui i sindacati, sempre più governati dagli iscritti più anziani, non sono disposti a mollare la presa.