Roberto Turno. I farmaci e gli ospedaletti. I primariati e i reparti a go-go e le mitiche siringhe. Le mense e le utenze telefoniche ma anche quelle del gas, dell’elettricità e dell’acqua di asl e ospedali. I ricoveri o le analisi inutili e i medici iper prescrittori chiamati a darne conto e a pagarne le conseguenze in busta paga. Le consulenze e la spesa per i farmaci contro l’epatite C.
Dentro – e dopo – le urne di questa notte nelle sette regioni chiamate al voto, si annidano sorprese non esattamente gradite per l’assistenza sanitaria, in un quadro di bilanci che in Italia vede solo due Regioni in attivo. In uno slalom tra risparmi e buona spesa, ma anche tra prestazioni che verranno inevitabilmente a mancare, riducendo una volta di più il perimetro di un welfare sanitario che ormai da anni continua a perdere pezzi e universalità in conseguenza di tagli plurimiliardari: fino a 30 miliardi si stima, assestati dai tempi di Berlusconi-Tremonti in poi al Ssn. Sorprese amare, frutto questa volta volta del colpo di forbice deciso dal Governo con la legge di Stabilità 2015 ai conti dei governatori: 4 miliardi in tutto. Che però inevitabilmente riserveranno al Servizio sanitario nazionale (che con i suoi 110 mld vale fino all’80% dei bilanci locali) il più pesante colpo di scure. Tanto che ormai è scritta nero su bianco la somma che la sanità dovrebbe risparmiare ancora nel 2015: 2,35 mld. Con l’aggiunta di un ribasso per altri 300 mln circa dei fondi in conto capitale per gli investimenti, altra partita cruciale per il rilancio e la riqualificazione del Ssn. E adesso, dopo le urne, si vedrà come potrà concludersi la partita. Che, rinviata almeno quattro volte, è apertissima sui tavoli del Governo e delle regioni.
Lo stop
Arrivata a un passo dalla ratifica formale, l’«Intesa» tra palazzo Chigi e i governatori si è invece arenata a fine aprile. Ufficialmente perché almeno su un punto – i farmaci, con l’appendice diventata incandescente di quelli per sradicare (si spera) l’epatite C – le distanze si erano rivelate inconciliabili, con la ministra Beatrice Lorenzin a difesa del “suo” Fondo ad hoc (500 mln l’anno per 2 anni) per i farmaci innovativi e le regioni che invece non ci stavano, pronte a far pagare più salato il conto alle imprese farmaceutiche anche a dispetto delle promesse pro-sviluppo fatte da Matteo Renzi ai ceo delle multinazionali con sede in Italia. La farmaceutica, insomma, avrebbe fatto da spartiacque del mancato accordo. Anche se poi la verità era un’altra, ben chiara a tutti fin dal varo della stessa legge di Stabilità : la prossimità col voto per le elezioni regionali e la difficoltà (per non dire l’impossibilità) di anticipare una manovra sulla salute prima del voto. Meglio, molto meglio rimandare. E così infatti inevitabilmente è accaduto. Fatto sta che adesso le pagine del libro dei nuovi tagli andranno riempite. E servirà un decreto legge, sia per dare l’indicazione alle regioni su come muoversi all’unisono (anche se avranno margini per agire autonomamente, salvo rispettare i risparmi previsti), sia per ratificare il taglio del Fondo sanitario 2015.
Le incognite
Per modificare una legge (la manovra), del resto, serve una legge. Ma con tanti rebus: lo scarso tempo a disposizione per arrivare al decreto e ratificarlo entro l’estate, ma anche l’impatto violento (concentrato in soli 5 mesi, anziché 1 anno) della manovra. Di qui l’incertezza di una situazione che non sarà facile comporre subito dopo l’elezione. E il rischio che tutto si trascini a settembre, con asl e ospedali che intanto saranno chiamati a risparmiare comunque. Ma al buio. Incertezza nell’incertezza. Senza dire che le regioni che cambieranno governo o anche solo giunte e assessori, vorranno leggere bene le carte prima di ratificare qualsiasi accordo con Palazzo Chigi. Un pasticcio nel pasticcio. Mentre i conti non tornano mai: 31 mld di deficit dal 2006, anche se in deciso calo negli ultimi anni, sono un preciso allarme. Sebbene i contratti siano fermi ormai da 5 anni e le cure siano sempre meno gratis, gli italiani rinviino le cure pur di non pagarle, i ticket siano un bottino in crescita, ottenere un ricovero sia una scommessa e il personale sia in calo nelle corsie. Gli effetti della crisi. Che forse neppure una sana e necessaria spending review può mettere al riparo da un welfare che rischia di diventare sempre più residuale e minimalista.
Il Sole 24 Ore – 1 giugno 2015