Prestazioni gonfiate al San Raffaele di Cassino. La Corte dei conti accusa gli Angelucci e la Regione Lazio: restituiscano i soldi. Per i 460 lavoratori del San Raffaele di Cassino, che a fine maggio scioperavano dopo essere rimasti senza stipendio per tre mesi, è altro sale sulle ferite.
La Procura della Corte dei conti ha citato in giudizio la società proprietaria della casa di cura e sedici persone che negli anni si sono avvicendate ai vertici dell’azienda sanitaria di Frosinone, perché rispondano di un danno erariale astronomico: 86 milioni 931.219 euro e 54 centesimi.
Non una società qualunque. Perché il San Raffaele fa capo alla famiglia del deputato del Popolo della libertà Antonio Angelucci, re delle cliniche private convenzionate con la sanità pubblica nonché editore di Libero e azionista dell’Alitalia.
L’iniziativa dei magistrati contabili, innescata da due denunce del presidente del collegio sindacale dell’Asl di Frosinone Edoardo Cintolesi nel luglio del 2010, riguarda una vicenda già in parte nota.
Il procuratore regionale Angelo Raffaele De Dominicis ne aveva accennato all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012 segnalando come la Corte dei conti avesse chiesto, e ottenuto, il sequestro conservativo di beni immobili per 126,5 milioni della società San Raffaele «a garanzia del danno subito dal servizio sanitario regionale per effetto di un’indagine sulla fittizia o irregolare erogazione di prestazioni di riabilitazione eseguite in particolare presso la casa di cura di Velletri». Indagine estesa anche alla clinica di Cassino con accertamenti affidati ai carabinieri dei Nas dai quali sarebbero emerse, raccontava De Dominicis, irregolarità tali da determinare un danno erariale enorme conseguente «non solo alla violazione sistematica delle convenzioni sanitarie ma soprattutto all’omissione di controllo sulla conformità e sulla regolarità delle prestazioni» rimborsate. E qui si arriva alle presunte pesantissime responsabilità e connivenze dei dirigenti pubblici.
Primo fra tutti, l’ex direttore generale della Asl Carlo Mirabella, deceduto qualche mese fa. Personaggio noto alle cronache: occupava quel posto al tempo della giunta di Francesco Storace, ma era stato rimosso da Piero Marrazzo. Per tornare alla guida della Asl con Renata Polverini. Il suo sponsor, Franco Fiorito, «Er Batman» di Anagni, che dovendo rinunciare alla poltrona di assessore all’Agricoltura, aveva ottenuto di designare il direttore dell’Asl della propria zona d’influenza. Piazzando lì, oltre a Mirabella, anche il direttore amministrativo: l’ex segretario comunale di Anagni, città della quale Fiorito era stato sindaco.
Tutto comincia nel 2005, quando Storace sta per lasciare la Regione. Mirabella firma un protocollo d’intesa con gli Angelucci che prevede la riconversione di 40 posti letto, sui 60 disponibili, da «Residenza sanitaria assistita» (Rsa) a «Riabilitazione alta intensità» (Rai) e «Lungodegenza alta intensità» (Lai). Due sigle esistenti solo nella regione Lazio, ma che garantiscono tariffe elevatissime. Per avere un’idea, si parla di cifre superiori alle 250 euro al giorno contro 100-110 euro della Rsa. Il Protocollo viene ratificato dal medesimo Mirabella il 14 febbraio del 2005 e lo stesso giorno, con rara e fulminea sollecitudine, la giunta Storace approva la relativa delibera, nonostante manchi il parere obbligatorio del direttore sanitario Sandra Spaziani. La quale, interrogata in seguito dai magistrati contabili, dirà di aver subìto numerose pressioni e riferirà anche di una telefonata di Antonello Iannarilli, allora assessore regionale all’agricoltura, futuro presidente della Provincia di Frosinone e deputato del Pdl: «Qua è passata una delibera della Asl e la firma tua non c’era… ».
Dalle verifiche descritte nella citazione salta fuori di tutto. Prestazioni non erogate. Personale non abilitato ma adibito all’assistenza diretta ai pazienti. Cartelle cliniche con firme «identiche e seriali». Somme ingenti per prestazioni oltre budget liquidate alla casa di cura: quasi 54 milioni dal 2006 a oggi, a fronte di un fatturato riabilitazione pari a 124,3 milioni. Cambi di regime di ricovero dei pazienti con le tariffe più elevate non decisi dai medici ma dal personale amministrativo. Perfino «l’alterazione delle scale di Barthel», ovvero dell’indicatore di disabilità, non era stabilita dai sanitari. La rivelazione è sorprendente: «Uno dei soggetti che ha effettuato la maggior parte delle modifiche delle scale di Barthel», scrivono i giudici, «risulta inserito nell’elenco delle timbrature come addetto alle pulizie».
Quando Cintolesi decide di dare fuoco alle polveri, avendo scoperto lo sforamento del budget , si scopre che non solo le prestazioni «incriminate» sono identiche a quelle già contestate alla clinica di Velletri, ma che il direttore sanitario della Asl frusinate Raffaele Ciccarelli «presente alle trattative regionali per il riconoscimento dei pagamenti over budget alla San Raffaele Cassino proveniva proprio dalla struttura San Raffaele Velletri».
La Corte dei conti chiede chiarimenti a Renata Polverini, nella convinzione che le irregolarità dovrebbero comportare, oltre al «recupero delle somme percepite illegittimamente», la «revoca immediata dell’accreditamento» e l’azzeramento del budget . Ma questo non accade. «Anzi», ricordano i giudici, «veniva emanato dall’ex governatore «apposito decreto che prevedeva per la Casa di cura San Raffaele di Cassino l’istituzione di nuovi posti letto in medicina, in precedenza tagliati alle altre strutture pubbliche della Regione Lazio». Va precisato che gli 86 e rotti milioni di presunto danno erariale, su cui i giudici si esprimeranno il 17 dicembre, riguardano i soli tre anni dal 2007 al 2009, a cavallo fra le giunte Marrazzo e Polverini.
Corriere.it – 20 luglio 2013