Se ne vanno. Lasciano il servizio pubblico per quello privato, oppure si fanno mettere in reparti meno pesanti, perché non riescono più a reggere i ritmi di lavoro. Magari hanno problemi con i vertici della loro azienda o semplicemente hanno deciso che è arrivato il momento di lavorare meno e guadagnare di più. Così si spostano in una clinica privata. I dati non lasciano dubbi: nel 2021 erano usciti prima del tempo 2.700 camici bianchi, l’anno scorso il numero è salito a ben 4.000 e quest’anno si viaggia verso i 5.000. Un numero che ormai fa concorrenza ai pensionamenti.
Chi ha detto addio
Solo nelle ultime settimane in Veneto tre primari di radiologia hanno detto basta, così come ha fatto un loro collega che dirigeva una ginecologia. All’ospedale di Merate, in Lombardia, ha lasciato, seguendo altri colleghi che hanno fatto la stessa scelta, il direttore dell’ortopedia, a Voghera un altro radiologo. Poi ci sono state le dimissioni del capo del pronto soccorso del Rummo di Benevento, e di quello di Agrigento, quest’estate. Sono solo alcuni esempi, che tra l’altro riguardano figure di vertice, di una grave crisi della professione che riguarda anche medici di famiglia, pediatri e altri specialisti. Un esodo a cui si aggiunge ilflop dei bandi per le scuole di specializzazione, con almeno 6 mila borse non assegnate, e quindi andate perdute, quest’anno.
Le ragioni di chi scappa
Il dato sulla fuga degli ospedalieri lo ha raccolto, incrociando i numeri del Conto annuale dello Stato e di Onaosi (l’ente previdenziale e assistenziale dei camici bianchi) l’Anaao, principale sindacato di settore. Dei 4 mila che se ne sono andati nel 2022, prima del pensionamento, non è chiaro quanti abbiano scelto l’estero e quanti si siano spostati nel privato. «I problemi sono tre: stipendi bassi, mancanza di sicurezza dovuta al rischio di contenzioso e pure alle violenze di qualche paziente o suo parente, mancanza di tempo o condizioni di lavoro disumane». C’è una novità, fa notare il sindacalista, e potrebbe essere un duro colpo per la manovra del 2024. «Il governo promette più soldi in busta paga ma siamo di fronte a colleghi che probabilmente lascerebbero comunque: hanno raggiunto il punto di non ritorno, perché è stato tolto loro il tempo vita». Tra i reparti più in crisi ci sono, com’è noto, i pronto soccorso. In tanti li hanno lasciati in questi anni. Ma ci sono anche casi di dottori che si mettono a fare i freelance e tornano a occuparsi di emergenza, magari a gettone.
La programmazione fallita
Perché siamo arrivati a questa situazione? Il peccato originale sono stati gli errori di programmazione degli anni scorsi. In passato si sono formati troppi pochi medici per fronteggiare l’onda dei pensionamenti. In questo modo gli organici si sono ridotti e in certi reparti il lavoro è diventato pesantissimo, cosa che, in un circolo vizioso devastante per il nostro sistema sanitario, ha spinto molti ad andarsene ben prima della conclusione della carriera pubblica.
Nel 2020, rispetto a 4.500 borse utilizzate, sono andati via in 5.000. Ma anche negli anni, come il 2024, nei quali gli specializzandi sono di più dei pensionabili, ci sono comunque problemi. Il fatto è che non tutti coloro che finiscono il percorso di specializzazione poi lavorano nel pubblico. Anzi, tanti vanno a lavorare nel privato oppure all’estero. E poi alle uscite bisogna aggiungere anche i 4 mila e più che, come abbiamo visto, lasciano prima della pensione.
I medici ospedalieri sono circa 102 mila in Italia e secondo Anaao oggi ne mancano 15 mila. Ci vorrà ancora tempo prima di recuperare. Le cose dovrebbero migliorare nel 2026-2027, quando sarà passata la gobba pensionistica e entrerannopiù specializzandi, quelli che hanno cominciato a studiare nel 2021-2022 quando è cominciato l’aumento delle borse. Per questo i sindacati si oppongono all’eliminazione del numero chiuso di medicina, stimando che nel 2030 la tendenza sarà ormai invertita e ci saranno tanti camici bianchi specializzati.
Ma il grande problema non è tanto il numero totale di professionisti bensì lo scarso interesse che c’è da parte dei giovani per alcune specialità come il pronto soccorso, l’anestesia e la chirurgia. Far entrare più persone all’università darebbe unamano a riempire i vuoti nei settori più in crisi.
La crisi dei medici di famiglia
Per i medici di famiglia, e anche per i pediatri di libera scelta, il futuro è difficile e a farne le spese saranno i cittadini. Nel loro caso i posti del corso triennale regionale necessario a esercitare la professione non compensano le uscite per i pensionamenti. Va un po’ meglio nell’ultimo periodo, grazie ai fondi del Pnrr. «In sei anni abbiamo perso 6 mila medici, oggi siamo 39 mila in tutto », spiegano dalla Fimmg, il principale sindacato della categoria che prevede un futuro nero per la categoria.
Già adesso le Regioni convenzionano i giovani dottori prima che concludano il tirocinio. In più è stata data la possibilità di aumentare il numero degli assistiti, da un massimo di 1.500 a 1.800, per non lasciare persone senza il medico. Ovviamente, con tanti pazienti, magari in zone isolate, riuscire a essere disponibili per tutti è difficilissimo. Cosa che ancora una volta si riflette negativamente sui pazienti.
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