Il Corriere della Sera. Nell’ultimo anno, Alberto Mantovani (ormai non ha bisogno di presentazioni: è uno degli scienziati più famosi al mondo per le sue ricerche in immunologia), pur dedicandosi, quasi a tempo pieno, alla letteratura scientifica, analizzando e pubblicando lavori, ha trovato il tempo per rileggere alcuni dei suoi classici preferiti.
Tucidide, per esempio, lo storico greco che, nella sua Guerra del Peloponneso, racconta come chi guarisce di peste non si riammali. O, ancora su questa malattia, le vicende del medico che, nel romanzo di Albert Camus (appunto La peste), sperimenta un siero per combatterla, non sapendo se funzionerà o meno. Ma ponendo una serie di problemi etici sulle sperimentazioni di nuove cure.
Riferimenti letterari che ci riportano ai giorni nostri, alla pandemia di Covid e a tutti gli interrogativi che questa emergenza ha sollevato.
Ma di tutte le sue letture, Mantovani, oggi direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano, cita, in particolare, un filosofo greco: Socrate. Ecco perché.
«Socrate ci ha ricordato l’importanza del “sapere di non sapere”, condizione che costituisce la premessa per affrontare, con umiltà, la sfida della ricerca scientifica» commenta lo scienziato milanese.
Dunque: l’importanza della ricerca scientifica che mai, come in questo momento, è stata chiamata a spiegare una situazione inedita: la pandemia da un virus finora sconosciuto, il Sars-Cov 2. E l’immunologia, in tutto questo, l’ha fatta da padrona, perché questa disciplina studia, fra le altre cose, l’interazione fra chi aggredisce l’organismo umano (come appunto i virus) e le risposte di difesa che quest’ultimo mette in atto, per non soccombere.
Professor Mantovani, conoscere come questo virus interagisce con l’organismo può aiutare a combatterlo: che cosa abbiamo scoperto di questa «relazione pericolosa» e che cosa ci rimane da scoprire?
«Conosciamo il suo patrimonio genetico, in particolare la proteina spike che è quella che gli permette di entrare nelle cellule dell’organismo umano e di danneggiarle e quella contro cui abbiamo costruito i vaccini che adesso funzionano».
I vaccini, però, sembrano perdere efficacia nel proteggere dall’infezione, ma mettono comunque al riparo dalla malattia grave e dalle ospedalizzazioni.
È utile la terza dose?
«Per la terza dose c’è il “rischio del non fare” che è peggio del “fare”. Sì, la terza dose va somministrata, alla luce di quanto ci suggeriscono i dati scientifici. E comunque ci sono almeno tre buoni motivi: proteggere me stesso, i miei cari e le persone con cui vengo in contatto soprattutto se sono un sanitario».
Si discute sull’opportunità di ricercare, con un test sul sangue, gli anticorpi contro il Sars Cov 2 per capire se una persona è protetta e se può eventualmente decidere se fare o no la terza dose (la seconda eventualmente per chi ha fatto il vaccino Johnson & Johnson che prevedeva un’unica somministrazione). Che cosa ne pensa?
«La produzione di anticorpi è una strategia del sistema immunitario per difendersi contro i virus, ma non è la sola. Ci sono anche certi globuli bianchi (i linfociti T) che entrano in campo nel combattere il virus. È un tema tutto da studiare. Al momento non esiste un correlato, cioè un test (per esempio il dosaggio degli anticorpi, ndr) per dire se un singolo individuo è protetto oppure no».
Come si spiegano gli effetti collaterali da vaccini, compresi febbre e spossatezza, che generano diffidenza nei confronti di questi preparati?
«Gli effetti collaterali sono un “sintomo” dell’efficacia del vaccino. Succede perché il vaccino stimola la prima linea di difesa immunologica aspecifica dell’organismo, nei confronti dell’estraneo (virus o batterio che sia, ndr), che prevede la produzione di sostanze pro-infiammatorie, capaci di arginarlo (la seconda linea, più specifica, prevede la produzione di anticorpi e di linfociti T, indirizzati contro un particolare agente, ndr). Sono queste sostanze pro-infiammatorie che provocano questi disturbi».
Il sistema immunitario, dunque, è il grande direttore d’orchestra delle risposte che il nostro organismo mette in atto quando viene attaccato da agenti nemici e non solo dai virus. E lei su questo ha appena scritto un libro intitolato L’orchestra segreta. Ce ne parla?
«In realtà si tratta di una rivisitazione di un libro che avevo scritto una decina di anni fa e che ho scoperto essere completamente superato. Nel frattempo l’immunologia ha fatto passi da gigante, anche stimolata dall’emergenza Covid».
Nell’ultimo capitolo, lei parla di che cosa c’è ancora da scoprire su Covid. Per esempio?
«C’è il tema dell’autoimmunità. Si tratta di capire come, a volte, il sistema immunitario reagisca in maniera esagerata: attacca il virus, ma finisce anche per aggredire se stesso, danneggiando vari organi. Capire come questo succede potrebbe aiutare anche a spiegare la sindrome post-Covid, cioè la persistenza di sintomi nei pazienti che hanno avuto la malattia». Ancora una volta: il sapere di non sapere è lo stimolo per la ricerca.