Fare causa a Pfizer è una perdita di tempo e una distrazione dai problemi di produzione, logistica e varianti». Per Sergio Abrignani, professore ordinario di Immunologia all’Università Statale e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare Invernizzi del Policlinico di Milano, non ha senso prendersela con le case farmaceutiche «perché è già un miracolo che ci siano dei vaccini e dovremmo essere contenti che le aziende si riorganizzino per produrne più dosi. Anche i ritardi di AstraZeneca sono normali in fase iniziale».
Il 29 quest’ultimo sarà approvato dall’Ema?
«Ci sono molte pressioni, ma anche dei dubbi. L’Fda non a caso ha chiesto che ripetessero la terza fase. Per via dell’errore della mezza dose AstraZeneca ha testato le due dosi piene su 8mila persone contro le 22mila di Pfizer e Moderna. Se verrà approvato sarà sicuro, ma con un’efficacia del 62 per cento. Inoltre nei macachi risultò inibire la malattia, ma non la trasmissione del virus».
È possibile che venga approvato solo per gli under 75?
«Se proteggesse un terzo in meno sarebbe meglio darlo ai giovani e usare per gli anziani Pfizer e Moderna».
Ha senso produrre vaccini in Italia?
«E’ strategico in un secolo in cui per la terza volta un coronavirus fa il salto di specie. Nuovi impianti richiederebbero mesi, ma la pandemia costa così tanto che vale la pena investire in produzioni anche parziali. E’ l’idea della startup Reithera di Castelromano, la cui fase tre finirà in estate, o dell’Irbm di Pomezia, che fa un pezzo di AstraZeneca».
Quali sono i vaccini su cui puntare?
«Pfizer e Moderna sono ottimi, ma non bastano. La promessa è Janssen di Johnson&Johnson, che dovrebbe partire a fine marzo con 54 milioni entro l’anno, poi da settembre Curevac e a fine anno Sanofi».
E i vaccini russi e cinesi?
«Dubito che passerebbero i controlli delle autorità occidentali. I russi sono in trattativa con l’Ema, ma sarei prudente. I cinesi preferiscono mandarli nei Paesi Arabi, in Brasile e in Africa con risultati incerti».
Ha senso saltare la seconda dose?
«No, sia per motivi regolatori sia perché una dose è meno efficace. Pensiamo ad anziani e malati, che già rispondono poco ai vaccini».
E posticipare la vaccinazione dei guariti?
«Ha senso se mancano le dosi, ma poi vanno vaccinati tutti».
Qual è la durata dell’immunità nei guariti e nei vaccinati?
«Sei mesi nei guariti e tre nei vaccinati. Non ci possono ancora essere studi di più lungo periodo, ma i vaccini antivirali in genere proteggono per diversi anni».
Quanto influiranno le varianti?
«Quella inglese è più infettiva e potrebbe prevalere anche in Italia alzando l’immunità di gregge dall’80 al 90 per cento costringendoci a vaccinare tutti. La sudafricana e la brasiliana in base a dati preliminari, nel caso prevalessero, renderebbero necessario rivaccinare tutti».
Quanto ci vorrebbe per aggiornare i vaccini?
«Pochi mesi, ma la pandemia finirà quando sarà spenta ovunque in tutte le sue varianti».
Servirebbe un’organizzazione più militare della vaccinazione?
«L’Italia è partita meglio di altri Paesi europei, ma bisogna tenersi pronti per l’arrivo delle dosi».
Le autorizzazioni dei vaccini in emergenza sono sicure?
«Sì, al massimo rinunciano alla precisione sull’immunizzazione delle fasce di età o alla messa a punto dei processi produttivi. I No vax sono dei testoni, ma agli indecisi dico: con le chiusure muoiono 500 persone al giorno e siamo vicini ai 100mila morti».
Il vaccino dovrebbe essere obbligatorio?
«Per gli operatori sanitari sì, ma anche per gli altri. E’ una questione di salute pubblica. Il bene è la protezione della popolazione e il male sono altri morti». —
La Stampa