Finisce, con la sentenza della Cassazione che ha dato ragione alla Provincia di Treviso e torto alla Cisl, l’èra dell’inamovibilità dei rappresentanti sindacali. La Suprema Corte, pronunciandosi su un caso accaduto nella Marca, ha messo mano all’articolo 18 del contratto collettivo di lavoro e capovolto gli orientamenti severissimi che bloccavano qualsiasi spostamento, anche di stanza o di piano o comunque all’interno dello stesso comune, di lavoratori delle Rsu. Protagonista della vicenda è un ingegnere assunto in Provincia nel ’98, nel settore Lavori Pubblici-Edilizia, uffici di via Battisti. Tre anni dopo il lavoratore diventa rappresentante sindacale della Cisl. Nel dicembre 2004 l’ente decide di assegnare l’ingegnere al settore Gestione del Territorio che ha sede in via Manin.
Poche centinaia di metri separano una sede dall’altra. Il provvedimento viene però impugnato dalla Cisl che ne sostiene l’illegittimità e contesta una condotta antisindacale; viene rilevato innanzitutto il fatto che per trasferire un sindacalista è necessario il nullaosta delle associazioni sindacali di appartenenza. Secondo la Cisl, poi, tale spostamento non è supportato da alcuna ragione oggettiva e le nuove mansioni assegnate al dipendente lo hanno di fatto demansionato. Per il sindacato il provvedimento ha il solo intento di svilire professionalmente il lavoratore allo scopo di ostacolarne l’attività sindacale. La Provincia si costituisce chiedendo il rigetto del ricorso dell’ingegnere in quanto infondato. Il giudice del lavoro dà ragione all’ente pubblico: non c’è stato, rileva il tribunale, alcun demansionamento del lavoratore e la distanza tra due sedi è di appena 150-200 metri, non tale da pregiudicare la sua attività sindacale. La Cisl non si arrende e impugna il provvedimento davanti al giudice dell’opposizione chiedendo di far cessare la «condotta antisindacale» della Provincia. A settembre 2005 il giudice conferma il pronunciamento di primo grado. Il sindacato ricorre allora in appello. La Provincia spiega che l’ingegnere è tornato nel frattempo nella sede di via Battisti, nello stesso piano dove lavorava inizialmente e che pertanto non c’è più motivo di contrasto. E’ il dicembre 2008 quando la Corte d’Appello rigetta ancora una volta il ricorso sostenendo che non c’è stato mutamento di mansioni e neppure trasferimento vero e proprio in quanto «il dedotto trasferimento non ha comportato in senso geografico alcun apprezzabile mutamento di luogo di svolgimento della prestazione, né un apprezzabile spostamento topografico». Motivazioni che, ancora, non convincono la Cisl tanto che decide di ricorrere – con la sua struttura nazionale – addirittura alla Suprema Corte. La Provincia, assistita dall’avvocato Marco Zanon dello studio Malvestio di Treviso, ribadisce quanto già messo in evidenza nei precedenti gradi di giudizio. Nei giorni scorsi la sezione Lavoro della Suprema Corte, presieduta dal giudice Giuseppe Napoletano, ha messo la parola fine dando ragione alla Provincia di Treviso e rigettando il ricorso. Spese legali di 3 mila euro a carico del sindacato.
La Tribuna di Treviso – 20 gennaio 2012