Non solo referendum costituzionale. Ieri la giornata passata nella provincia di Cuneo è servita al premier anche per mandare due messaggi al mondo dell’Italia che lavora e produce. Il primo: il governo difenderà il settore agroalimentare «anche da quei burocrati che in alcuni Paesi cercano di inserire regole capestro a sfavore dell’Italia non per difendere la qualità dei cibi ma per favorire interessi economici».
Il secondo è un cavallo di battaglia del premier. «Il Jobs act funziona», ha ribadito Renzi. E a dimostrarlo sarebbero anche le 400 assunzioni in Ferrero e le 144 alla Venchi messe a segno dopo l’entrata in vigore della riforma del lavoro, quindi dal marzo 2015.
La visita del premier Matteo Renzi al quartier generale Ferrero di Alba ieri ha aperto le celebrazioni per i 70 anni del gruppo. Giovanni Ferrero e il premier si sono avvicendati sul palco. In prima fila Maria Franca Ferrero — vedova di Michele, mancato lo scorso anno — e presidente della fondazione che porta il nome dell’azienda. Giovanni Ferrero, alla guida di un gruppo da 10 miliardi di fatturato, ha rivendicato i pregi della «ferrerità», neologismo che sta a indicare la capacità di utilizzare al massimo la tradizione per innovare. Come dire: legare il passato al futuro. D’altra parte Ferrero inizia sempre le sue lettere alla comunità dei dipendenti con un «Cari ferreriani». Lo ha fatto anche di recente, il primo settembre scorso, per spronare tutti a dare il massimo.
Durante la visita allo stabilimento Renzi si è soffermato «davanti alla cascata d’oro dei Ferrero Rocher» e ha sgranocchiato un Kinder cereali. Giovanni Ferrero ha colto l’occasione per mettere a confronto la carta d’identità dell’azienda nel ‘67, quando fu visitata per la prima volta da un presidente del consiglio (allora era Aldo Moro) con quella di oggi: «Nel 1967 Ferrero disponeva di 3 fabbriche in Italia, Germania e Francia, mentre oggi ne ha 22, dal Canada alla Cina, dalla Russia al Sudafrica, dall’Argentina all’Australia. Nel 1967 i nostri collaboratori erano meno di 8.000, oggi sono più di 40.000. Il fatturato era l’equivalente di 800 milioni euro, oggi è di 10 miliardi di euro, con un giro d’affari che negli ultimi dieci anni è raddoppiato». In particolare, per quanto riguarda la Nutella: «Nel 1967 ne producevamo 200.000 quintali, mentre oggi ne produciamo oltre 4 milioni di quintali ogni anno, conquistando circa 120 milioni di famiglie nel mondo».
Un track record straordinario ma ora si tratta di guardare a un futuro che non lesina sfide. Con le parole sui tecnocrati che cercano di imporre regole capestro Renzi ha ribadito il sostegno del governo all’industria alimentare italiana. Sullo sfondo ci sono partite importanti. E molto concrete. Lo scorso aprile il parlamento italiano, per esempio, ha invitato la Commissione europea a riesaminare la base scientifica e l’utilità di un regolamento che introduceva i cosiddetti profili nutrizionali, bollini rossi gialli o verdi per indicare la salubrità di un cibo. Chiaro che un provvedimento del genere metterebbe in difficoltà tutta una serie di prodotti tipici italiani. Le aziende del settore temono che l’introduzione di una etichettatura a semaforo danneggi i prodotti della nostra tradizione alimentare (e soprattutto dolciaria). Poi ci sono le raccomandazioni dell’oms sulla quantità di zuccheri nei cibi e la battaglia tra olio di palma e olio di girasole. Ma questa è ancora un’altra questione.
Rita Querzé – Il Corroere della Sera – 2016