Da documentare i guadagni conseguiti altrove nelle more dall’ex dipendente, che non deve attivarsi per ridurre le conseguenze dell’inadempimento del datore
Chi l’ha detto che per il licenziato tre anni bastano e avanzano per trovare un nuovo impiego? Si tratta di un assunto che, spiega la Cassazione, non è fondato su alcuna massima di esperienza (specie oggi: con la crisi che c’è). Non è il dipendente licenziato in modo illegittimo per l’illecita apposizione di un termine al contratto di lavoro a dover dimostrare l’impegno profuso nella ricerca di un nuovo posto: deve dunque essere annullata con rinvio la sentenza di merito che riduce il risarcimento del danno in favore del lavoratore ai soli tre anni di retribuzione immediatamente successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. È quanto emerge dalla sentenza 5676/12, pubblicata il 10 aprile dalla sezione lavoro della Suprema corte.
Onere della prova
Accolto, contro le conclusioni del pm, il ricorso della lavoratrice che pure è stata assunta tempo indeterminato per l’illegittimità della proroga del contratto: si configura la nullità fin dall’origine della clausola relativa all’apposizione del termine al rapporto di lavoro. Il ricorso della dipendente ha buon gioco laddove il risarcimento risulta ridimensionato senza eccezioni o allegazioni ad hoc da parte del datore. Chi invoca l’aliunde perceptum da sottrarre ai risarcimento in favore del dipendente deve dimostrare non soltanto che quest’ultimo ha nel frattempo trovato un altro posto di lavoro, ma è tenuto anche a documentare quanto ha incassato dal nuovo datore: è soltanto questa, infatti, la circostanza che riduce il danno patito da chi è stato espulso dal ciclo produttivo senza un valido motivo. Ed è sempre il datore che deve dimostrare la negligenza dell’ex dipendente nel trovarsi una nuova proficua occupazione. Sbaglia allora il giudice del merito quando afferma che tre anni ben sarebbero stati sufficienti a trovarsi un nuovo posto, senza tuttavia citare alcun altro elemento utile o termine di raffronto. Né è la lavoratrice a dover dimostrare l’impegno profuso nella ricerca di un altro impiego: il dovere di cooperazione del creditore, che scaturisce dalla regola di correttezza ex articolo 1175 Cc, riguarda la cooperazione nell’adempimento del debitore, ma non anche il dovere di attivarsi per ridurre le conseguenze risarcitorie di un inadempimento altrui che si è già realizzato, come quello del datore che licenzia illegittimamente. Parola alla Corte d’appello in diversa composizione.
Dario Ferrara www.cassazione.net – 15 aprile 2012