Il datore di lavoro deve provare l’impossibilità di assegnare una nuova mansione al lavoratore – licenziato per motivo oggettivo di crisi aziendale – fornendo elementi presuntivi e indiziari.
Ma l’onere della prova non va letto in modo rigido: il licenziato deve a sua volta allegare l’esistenza di altri posti di lavoro consoni per un repechage. Lo afferma la Sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza n. 7512/12 del 15 maggio. La Corte di Appello di Palermo, riformando la sentenza di primo grado, rigetta la domanda proposta da un lavoratore che impugna il licenziamento oggettivo intimatogli per crisi aziendale (art. 18, l. n. 300/1970, Statuto dei lavoratori). E’ provata, infatti, l’impossibilità del repechage in quanto dal libro matricola emergeva che la società non aveva più effettuato nuove assunzioni ma anzi aveva licenziato altri dipendenti. L’uomo ricorre per cassazione, denunciando il vizio di omessa motivazione, e allega che la Corte del merito – nel valutare la crisi – non ha tenuto dovuto conto dell’aspetto concernente l’acquisto in leasing di un macchinario dal valore cospicuo (superiore ai 160 mila euro). Inoltre, sostiene che erroneamente sia stato posto a suo carico l’onere della prova del c.d. repechage. La censura viene ritenuta infondata dagli Ermellini. Sulla sussistenza della crisi aziendale si è formato il giudicato e, pertanto, la questione sarebbe stata da sollevarsi nel primo gravame. Non viene poi ritenuta condivisibile – nell’ottica della Suprema Corte – la seconda critica, atteso che la motivazione del merito, in relazione al repechage, è giuridicamente corretta e adeguatamente argomentata poiché la stessa si basa su due capisaldi: né la società ha, in un secondo momento, implementato la propria forza lavoro; né il soggetto licenziato ha allegato domande circa la possibilità di un reinserimento nell’azienda.
Possibile reinserimento: su chi grava l’onere della prova? In giurisprudenza appare consolidato il principio secondo cui, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, compete al giudice – che invece non può sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, essendo espressione della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza della motivazione addotta dal datore. Questi è poi tenuto, mediante elementi presuntivi e indiziari, a provare l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse. Tale prova, tuttavia, non va letta in modo rigido: è richiesta la collaborazione del soggetto licenziato nell’accertamento di un possibile repechage, tramite l’allegazione attestante l’esistenza di altri eventuali posti di lavoro a lui consoni (precedente, Cass. n. 6559/10).
La AStampa – 6 agosto 2012