La pronuncia della Cassazione arriva dopo una sentenza di primo grado del 2006 con cui il Tribunale di Crotone ha riconosciuto l’esistenza di un effettivo rapporto di lavoro subordinato
L’inadeguata e insufficiente indicazione, nelle comunicazioni preventive scritte – indirizzate alle rappresentanze sindacali aziendali, associazioni di categoria e all’Ufficio provinciale del Lavoro – dei motivi tecnici e imprenditoriali che spingono un’azienda a licenziare alcuni dipendenti non può essere “sanata” da un successivo accordo sindacale che individui i lavoratori da estromettere.
È ribadendo questo principio – già emerso nella giurisprudenza recente della Suprema Corte – che la sentenza 5582 del 6 aprile 2012 della Corte di Cassazione (sezione Lavoro) ha confermato l’illegittimità del licenziamento collettivo intimato nel 1998 ad un gruppo di impiegati di una società impegnata nella gestione dei servizi di back office per conto di una banca popolare.
La pronuncia della Cassazione arriva dopo una sentenza di primo grado del 2006 con cui il Tribunale di Crotone ha riconosciuto l’esistenza di un effettivo rapporto di lavoro subordinato tra gli impiegati e la banca appaltatrice all’esterno dei servizi di back office, imponendo il pagamento delle differenze retributive del caso e soprattutto la nullità del licenziamento collettivo degli impiegati, con le conseguenze ripristinatore e risarcitorie (il reintegro nel posto di lavoro) previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970).
Annullamento dei licenziamenti e reintegro sul posto di lavoro poi confermati in Corte d’appello, con una sentenza del 2010 che rileva anche la violazione delle norme procedurali previste dalla legge 223/1991 in caso di licenziamenti collettivi: dalla comunicazione di apertura della procedura, spiega la sentenza di II° grado, mancano infatti «i motivi che avrebbero determinato l’eccedenza di personale, ma anche quelli tecnici, organizzativi e produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a detta situazione». Irrilevante anche il fatto che successivamente sia stato redatto un verbale di accordo sindacale, che «non assume rilievo ai fini della valutazione della completezza della comunicazione preventiva». Non solo: «la mancata prova che l’esito della procedura sia stato comunicato ritualmente» agli interessati «comporta un ulteriore profilo di inefficacia dei licenziamenti».
La Cassazione, da parte sua, ha quindi respinto in toto l’articolato ricorso della banca e della società di servizi, incardinato in particolare, sull’effetto “sanante” dell’accordo sindacale successivo alla procedura informativa. Per i giudici, «l’inizale comunicazione di avvio della procedura, che sia in ipotesi assolutamente generica e vuota di contenuto, non è, per così dire, “sanata” ex se dal successivo accordo sindacale perché risulterebbe del tutto frustrata l’esigenza di trasparenza del processo decisionale datoriale alla quale sono interessati i lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda».
ilsole24ore.com – 7 aprile 2012