Repubblica. Salta la proroga al 28 agosto del blocco dei licenziamenti. Dopo le critiche di Confindustria al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, i tre scaglioni tornano a due: fine del blocco al 30 giugno per le grandi imprese e al 31 ottobre per le piccole. Palazzo Chigi riscrive dunque la norma contestata. Lascia però l’incentivo voluto da Orlando per le grandi imprese. Se d al primo luglio useranno la Cassa integrazione ordinaria senza licenziare, non pagheranno le addizionali previste dalla legge. Un bonus valido sei mesi, fino al 31 dicembre. E per il quale il governo stanzia 164 milioni.
La retromarcia arriva dopo le polemiche di questi giorni e un riesame tecnico della norma. «Ho proposto una proroga selettiva del blocco dei licenziamenti, perché sono profondamente convinto che occorrono tutti gli strumenti possibili, nessuno escluso, per affrontare il passaggio di giugno», si sfoga Orlando con i suoi collaboratori. «La proposta del mini-blocco selettiva era emersa al tavolo con le parti sociali, anche se non condivisa da tutti», prosegue. Ma poi, ricostruisce Orlando, «Lega e Confindustria hanno alzato le barricate e Draghi si è trovato a fare una sintesi». Ecco perché «sono particolarmente amareggiato per le ricostruzioni fantasiose di questi giorni relative a un presunto “inganno: le procedure sono state tutte rispettate. A parlare di “inganno” era stato il Sole24Ore di domenica, disvelando la posizione di Confindustria.
Il segretario del Pd Enrico Letta ieri ha fatto quadrato intorno al ministro piddino: «Ho letto critiche superficiali e ingenerose nei confronti del ministro Andrea Orlando, che lavora, su tema delicato per milioni di italiani, con tutto il nostro sostegno e apprezzamento ». Anche i sindacati fanno sapere di ritenere «inaccettabile e socialmente pericolosa la posizione di Confindustria sui licenziamenti ». Mentre la Lega parla solo con la sottosegretaria al Lavoro Tiziana Nisini, vicina alle posizioni di Confindustria, che accusa Orlando di «imboscata».
Alla fine del pacchetto Orlando per il lavoro rimane tutto: agevolazioni, decontribuzione, sussidi. Non però l’allungamento di 60 giorni del divieto di licenziare per le grandi aziende in procinto di usare la Cig Covid dall’entrata in vigore del Sostegni bis al 30 giugno. Una proroga contestata da Confindustria perché spezzava la simmetria che dal 23 febbraio 2020 accompagna il blocco dei licenziamenti: se usi la Cig Covid (coperta dallo Stato e dunque gratis), non licenzi. Bilanciamento che sarebbe saltato, se fosse passata la norma ora soppressa: aiuti di Stato fino al 30 giugno, ma blocco ai licenziamenti dilatato al 28 agosto.
Dal primo luglio, queste stesse aziende – e tutte le altre dotate di ammortizzatori alternativi – avrebbero certo potuto usare la Cassa integrazione ordinaria, agevolata grazie all’abolizione per sei mesi dell’addizionale di legge, una sorta di ticket che le imprese pagano quando usano questa Cig. Però non sarebbe stato lo stesso. Perché la Cig ordinaria non è coperta dallo Stato. E le aziende che la maturano ne devono fare un uso limitato nel tempo (non più di due anni nel famoso quinquennio mobile).
La crisi dell’occupazione d’altro canto preoccupa il governo. Non potrebbe essere altrimenti, dopo la recessione profonda in cui è piombata l’Italia per il Covid. Crisi scritta nei numeri: a gennaio l’Inps registrava ancora 544 mila lavoratori in Cig Covid, a febbraio 530 mila. E Bankitalia prevede 577 mila possibili licenziamenti, dopo la fine del blocco. Ecco dunque la ratio del pacchetto lavoro inserito nel decreto Sostegni bis, a questo punto sbloccato e pronto per la firma del presidente Mattarella. Dal contratto di rioccupazione a quello di espansione. Sperando che bastino.