In Italia sta per finire l’era dei licenziamenti difficili. Se quanto scritto nella lettera consegnata ieri da Berlusconi alla Ue diventerà legge si entrerà in un regime all’anglosassone, in cui si potrà allontanare un dipendente senza particolari complicazioni a fronte di situazioni di difficoltà economica dell’impresa per la quale si lavora. Probabilmente, così come avviene già oggi nelle piccole imprese, anche nelle aziende con più di 15 dipendenti sarà sufficiente versare un’indennità monetaria. Addio alle protezioni garantite dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, pure parzialmente – ma non abbastanza a quanto pare – indebolito dalla riforma varata nel decreto di Ferragosto. E via libera alla possibilità per le imprese di attuare «licenziamenti economici».
La riforma è nella lettera del premier Berlusconi alla Ue insieme alla pensione a 67 anni entro il 2026 per donne e uomini e alla dismissione del patrimonio pubblico con ricavi attesi di 5 miliardi. Quella sui licenziamenti si annuncia una riforma davvero drastica, promessa dal Governo entro il maggio del 2012. Certamente perché divenga legge bisognerà fare i conti con la fragilità della maggioranza. I licenziamenti sono materia politicamente esplosiva, e certo non fatta su misura per conquistare consensi elettorali. Una riforma simile fu tentata già nel 2001-2002 dal secondo governo Berlusconi, e finì come sappiamo. Sicuramente l’operazione susciterà proteste sociali molto dure, e già nei primi commenti a caldo tutti i sindacati confederali – comprese Cisl e Uil, e persino l’Ugl – si parla apertamente di manifestazioni e scioperi.
Nel testo della lettera, oltre alla «nuova regolazione dei licenziamenti» – definita come «funzionale» a maggiori assunzioni da parte delle imprese – ci sono anche altre indicazioni e impegni. Sarà più facile licenziare, ma si promette che per via legislativa si renderà più difficile fare contratti di collaborazione e in generale «parasubordinati», che «oggi sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato».
Ma oltre ai licenziamenti nel settore privato, si parla di interventi pesanti anche nel pubblico impiego. L’obiettivo è quello di «rendere più efficiente, trasparente, flessibile e meno costosa la pubblica amministrazione» al centro e in periferia. Per questo, con «meccanismi cogenti», si imporrà la mobilità obbligatoria dei dipendenti pubblici, la «messa a disposizione» e il superamento delle dotazioni organiche. In altre parole, si potranno chiudere e accorpare uffici, e spostare il personale anche in altri uffici, anche in città diverse. Chi non accetterà perderà il posto; chi verrà «messo a disposizione» finirà in una specie di Cassa integrazione a salario ridotto. Infine, entro il 2011 verranno approvate le misure (già presenti nella bozza del decreto sviluppo) per favorire i contratti di apprendistato per i giovani (anch’essi «terminabili» nell’arco di tre anni da parte dell’azienda) e le assunzioni part-time delle donne.
Immediata, e durissima, la reazione dei sindacati. Il primo ad attaccare in ordine di tempo è il segretario della Cisl Raffaele Bonanni: «così facendo si attaccano solo i più deboli, reagiremo subito perché non siamo d’accordo». «Permettere i licenziamenti per motivi economici – dice Bonanni – è solo uno specchietto per le allodole per le imprese. Il risultato è istigare le persone alla ribellione». La leader della Cgil Susanna Camusso afferma che «lo spirito riformatore del governo si traduce in un ennesimo attacco, sui licenziamenti, sul lavoro precario, sulle pensioni. Abbiamo visto le dichiarazioni di altre organizzazioni sindacali e siamo per proporre a tutti un’ iniziativa di mobilitazione unitaria che rimetta al centro le ragioni del lavoro e della crescita ancora una volta negate da questo governo». Paolo Pirani, numero due Uil, spiega che il governo «fa pagare dipendenti e pensionati, senza dire nulla su evasione fiscale, sprechi e privilegi. La Uil non ci sta e la nostra reazione ci sarà e sarà assolutamente ferma». Infine, il numero uno dell’Ugl Giovanni Centrella dice che «la misura è colma. Ora siamo liberi di agire».
Lastampa.it – 27 ottobre 2011