Licenziamenti per esuberi difficili da attuare, in assenza di parametri oggettivi sulla base dei quali determinare la giusta provvista di personale nelle amministrazioni pubbliche.
Il potenziamento dei poteri dei datori di lavoro pubblici di licenziare i dipendenti, previsto dal maxiemendamento alla legge di stabilità, rischia di restare una norma di bandiera, la cui concreta attuazione potrebbe non portare a risultati molto diversi da quelli scaturiti dalla previgente stesura dell’articolo 33 del digs 165/2001, che il maxiemendamento intende modificare. In termini astratti, non c’è alcun dubbio: nel caso in cui l’ente rilevi un’eccedenza di dipendenti pubblici, deve adottare accorgimenti per ridurre il carico che ne deriva, come farebbe un’impresa privata. Ma, nel caso delle aziende private, a guidare la scelta di licenziamenti per esuberi sono fondamentalmente ragioni economiche e finanziarie: una situazione di crisi che non consenta di sostenere la spesa, in quanto i fattori di produzione costano di più di quanto l’impresa riesca a guadagnare sul mercato. Le amministrazioni pubbliche, però, non operano sul mercato. Il finanziamento delle loro attività è frutto dell’imposizione fiscale e, per altro, alcune funzioni debbono essere gestite obbligatoriamente, come quelle connesse alla sanità, all’anagrafe, all’assistenza sociale, alla sicurezza. Finché sia garantito il pareggio di bilancio e il rispetto del patto di stabilità mancano, allora, oggettivi parametri finanziari per stabilire una situazione di esubero. Essa potrebbe derivare da una revisione delle dotazioni organiche. Ma, perché si creino le condizioni di esuberi oggettivi, sarebbe necessario individuare fabbisogni standard di personale o di spesa di personale, da qualificare come necessari e sufficienti allo svolgimento di una certa funzione. Come è noto, però, i fabbisogni standard non sono noti: nel 2010 è partita l’opera finalizzata alla loro costruzione, adempiendo alle previsioni della legge 42/2009 sul federalismo fiscale. Gli enti, allora, potrebbero essere indotti a verificare eventuali eccedenze di personale alla luce della loro dotazione organica, para-metrando gli utenti in servizio con quelli astrattamente previsti dalla dotazione di diritto. E noto, però, che le dotazioni di fatto siano nella quasi totalità dei casi largamente inferiori alle dotazioni di diritto. Sicché, ben difficilmente gli enti in questo modo potrebbero evidenziare situazioni di esubero. Situazioni di eccedenza di personale potrebbero derivare da processi di esternalizzazione di servizi, come si evince dal combinato disposto degli articoli 6-bis e 31, sempre del dlgs165/2001. Infatti, una volta trasferita la competenza a gestire una funzione o un servizio a un soggetto terzo, occorrerebbe trasferire tutte le dotazioni, economiche, finanziarie, strumentali e di personale, per evitare una duplicazione di tale ultima voce di spesa. Il maxiemendamento, però, manca di una chiara correlazione tra esuberi ed esterna-lizzazioni: sarebbe la sede per rendere più evidente tale connessione, spesso ignorata dagli enti, tanto che spesso processi di esternalizzazione conducono ad incrementi della spesa, senza nessuna razionalizzazione delle dotazioni. Anche il fine del maxiemendamento di obbligare alla mobilità, cioè ai trasferimenti, di dipendenti di enti sovradimensionati verso enti sotto organico, richiederebbe, a monte, uno standard per stabilire effettivamente in base a quali indicatori un ente presenti eccedenze ed un altro, invece, sia in stato di richiedere maggiori dotazioni. Potrebbero essere qualificati come indicatori le regole sul contenimento della spesa: una situazione di esubero oggettivo potrebbe derivare dal superamento della soglia del 40% nel rapporto tra spese di personale e totale delle spese correnti. Ma, nessuna norma fornisce indicazioni precise in merito.
Questa laconicità e insufficienza della normativa ed anche del maxiemendamento finisce per lasciare all’autonomia di ciascun singolo ente la valutazione della sufficienza o esuberanza della propria dotazione di personale, il che di per sé non assicura alcun risultato di riduzione della spesa di personale o di redistribuzione tra enti.