Continuare a lavorare (da dipendente) fino a 70 anni è un’opportunità, non un diritto del lavoratore. Una sentenza del tribunale di Roma, ma anche un’altra del tribunale di Genova e una della Corte d’appello di Torino, interpretano in questo modo quanto previsto dall’articolo 24 del decreto legge 201/2011. Nella sentenza di Roma, un lavoratore licenziato nel 2013 dopo aver raggiunto l’età minima richiesta per il collocamento a riposo (66 anni e 3 mesi), contestava il licenziamento, tra gli altri motivi, sostenendo il diritto, comunicato all’azienda, di rimanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età, in base all’articolo 24 del Dl 201/2011. Il tribunale, però, non ha condiviso questa posizione: il dipendente può chiedere di rimanere in servizio ma non può pretenderlo e l’azienda deve essere d’accordo.
Secondo il giudice «il tenore letterale della norma (…) non consente in alcun modo di aderire all’interpretazione fornita dal lavoratore opponente secondo il quale la norma porrebbe un vero e proprio diritto potestativo in favore del lavoratore di scegliere se rimanere fino all’età di settant’anni, diritto a fronte del quale vi sarebbe un obbligo del datore di lavoro di consentire la prosecuzione del rapporto fino all’età richiesta dal lavoratore». A fronte di ciò, la possibilità di continuare a lavorare una volta raggiunti i requisiti per il pensionamento è «in ogni caso subordinata al consenso di entrambe le parti». Cioè il dipendente può chiedere di rimanere in servizio ma non può pretenderlo e l’azienda deve essere d’accordo. Inoltre, sempre secondo il giudice, il fatto che nel Dl 201/2011 si dica che «il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato» significa che chi resta al lavoro beneficia di coefficienti di trasformazione favorevoli e con la tutela dell’articolo 18 che sostituisce la possibilità di licenziamento “ad nutum”. In questo caso il recesso è stato comunicato seguendo quanto dettato dal contratto nazionale di riferimento.
Una decisione in parte simile è stata presa dalla Corte d’appello di Torino secondo cui «non è vietato che un lavoratore che abbia raggiunto i requisiti pensionistici entro il 31 dicembre 2011 possa scegliere di proseguire l’attività lavorativa, ma l’effettiva operatività di tale scelta è subordinata all’esistenza di una concorde e durevole volontà di parte datoriale che, se di diverso avviso, può legittimamente intimare un licenziamento ad nutum». In questo caso, peraltro, la Corte d’appello osserva che le disposizioni contenute nell’articolo 24 del Dl 201/2011 «non consentono per nulla di estendere ai lavoratori che abbiano maturato i requisiti per il diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011 secondo la vecchia normativa nuove disposizioni attinenti profili diversi da requisiti e decorrenze quando tali disposizioni (…) si riferiscano come si è sopra evidenziato, espressamente ed esclusivamente ai lavoratori che conseguono il diritto a pensione dopo il 31 dicembre 2011 secondo la nuova normativa». Quindi in questo caso un lavoratore che matura i requisiti entro il 2011 può anche essere licenziato “ad nutum” nel 2012, in corrispondenza dell’apertura della finestra previsto dal Dl 78/2010. Analoga la decisione del tribunale di Genova. via Viserba della Camera di commercio apre una sede in cui troveranno spazio i servizi per partite Iva e giovani professionisti che qui troveranno anche assistenza sui mercati esteri e formazione.
Il Sole 24 ore – 17 dicembre 2013