La Repubblica. In aula esordisce ricordando Simone Veil, citazione quanto mai appropriata per la prima donna presidente della Commissione europea. Istituzione che vuole tingere di rosa e di verde, assegnando la metà dei portafogli a personalità femminili e puntando tutto sulla lotta al cambiamento climatico. Ma quello della cristiano-democratica Ursula von der Leyen sarà anche un team in continuità con la squadra uscente di Jean-Claude Juncker, tanto che i due vicepresidenti della tedesca arrivano direttamente dal suo cuore: il socialista Frans Timmermans e la liberale Margrethe Vestager. Un trio che combacia con i padrini politici della nuova Commissione: Merkel, Macron e Sánchez. Il loro peso sarà vitale per la nuova leader dell’esecutivo comunitario, eletta da una maggioranza strabica e con il pericoloso sostegno dei sovranisti, pronti a condizionarla a loro favore.
Una traccia del suo programma ieri mattina von der Leyen l’ha offerta in aula a Strasburgo alternando con naturalezza francese, inglese e tedesco. «È tornato il momento di combattere per difendere l’Europa», ha scandito riferendosi ai sovranisti e agli avversari esterni. Non li cita, ma fa capire che l’Unione deve essere forte con Trump, Putin e Xi Jinping puntando tutto sui suoi valori, a partire da multilateralismo e libero commercio. Quindi disegna un’Europa verde con un deciso impegno sul clima sposando l’obiettivo di trasformare il nostro nel primo continente a zero emissioni entro il 2050 centrando il target intermedio del taglio del 50-55% di Co2 entro il 2030. Anche l’economia dovrà guardare all’ecologia, con la Banca europea degli investimenti che sarà trasformata in una Climate Bank capace di mobilitare un trilione di euro e tutta l’impostazione dei bilanci nazionali spostata verso l’ambiente. Un pacchetto che però non ha convinto i verdi il cui voto tuttavia sarà necessario su singoli provvedimenti per superare le perplessità dei popolari e dei Visegrad.
Sui conti pubblici accoglie le richieste dei socialdemocratici e del Pd in particolare sulla flessibilità. Così come prende l’impegno a far pagare le tasse alle multinazionali del digitale e a lavorare sul sociale con un fondo contro la disoccupazione e uno per i pari diritti di tutti i bambini. C’è anche spazio per il salario minimo europeo. Von der Leyen annuncia che non farà sconti sullo stato di diritto puntando a proseguire la battaglia per la democrazia liberale nell’Europa centro-orientale. Promette un nuovo Patto sui migranti che aiuti i Paesi di frontiera come Italia e Grecia e una riforma dell’Unione al termine di una Conferenza sul futuro dell’Europa da lanciare nel 2020.
La nuova presidente della Commissione si impegna a mettere in piedi un sistema credibile di liste transnazionali e Spitzenkandidaten, il sistema democratico di elezione del presidente della Commissione calpestato proprio con la sua nomina. Per farsi perdonare, promette al Parlamento anche il rivoluzionario potere di iniziativa legislativa. Intanto in segno di discontinuità rinuncia a Martin Selmayr, il potente braccio destro di Juncker la cui nomina a segretario generale della Commissione era stata contestata da Strasburgo.
In larga parte annunci di politiche in linea con quelle di Juncker o concesse sulla scorta delle richieste dei gruppi: da vedere come von der Leyen sarà capace di articolarle e se riuscirà a convincere i governi ad accettarle. Non sarà facile considerando che deve la sua elezione anche ai Visegrad, paesi che su migranti, ambiente e stato diritto sono del parere opposto al suo.
«Voglio una Commissione completamente dedita a far avanzare l’Europa», ha risposto a chi le chiedeva come reagirebbe di fronte a un commissario italiano sovranista. D’altra parte la politica conservatrice tedesca è un’europeista convinta. Arrivata a Bruxelles da pesce fuor d’acqua, lei l’Europa ce l’ha nel sangue. Nella capitale belga ci è nata 61 anni fa, quando il padre Ernst Albrecht scalava le gerarchie della Commissione per poi diventare presidente della Bassa Sassonia per la Cdu. «Sono nata in Europa, torno alle mie radici», affermava la signora cresciuta alla Scuola europea di Uccle, l’istituto destinato ai figli dei funzionari Ue. «Da Bruxelles ci trasferimmo in Germania perché mio padre voleva tornare da commissario europeo». Sogno che ha ereditato e ora superato, da presidente. Un po’ spaesata, visto che nella sua carriera politica da ministro della Famiglia, del Lavoro e della Difesa non si è mai occupata direttamente di politica europea. Ma in questi giorni di passione von der Leyen ha sfoderato il suo carattere di ferro nascosto dai modi affabili di una donna aristocratica sempre sorridente e a proprio agio. Una volta eletta in aula è corsa ad abbracciare Federica Mogherini. Poi si è affidata a Pericle: «Il segreto della felicità è la libertà, il segreto della libertà è il coraggio». Gliene servirà molto per governare l’Europa con una maggioranza risicata e sotto assedio dei governi nazionalisti che al Consiglio europeo e in Parlamento hanno contribuito alla sua nomina.