I tagli per «motivi economici». Senza conciliazione, il lavoratore dovrà dimostrare la sua utilità
In un contesto in piena evoluzione non è semplice tracciare un percorso prevedibile. Ma quale scenario avremmo provando a verificare il percorso giuridico di una causa per licenziamento per motivi economici? Basandoci sugli elementi ancora incompleti che abbiamo in mano, emerge un quadro «verosimile». Il licenziamento per motivi economici è quello che prevede il maggior numero di novità: per motivi economici non si intende lo stato di crisi, ma ragioni di gestione aziendale. Un’impresa può decidere di licenziare il suo centralinista perché ritiene più utile acquistare un software che gestisca il traffico telefonico. Si tratta di una motivazione economica e pertanto inizia l’iter previsto dalla riforma.
Il primo atto è l’invio di una lettera alla direzione territoriale del lavoro. Nella lettera l’azienda comunica la volontà di licenziare il suo centralinista spiegando i motivi gestionali legati alla decisione. Si istituisce una commissione per gestire la conciliazione. Il decreto appena varato prevede che la commissione convochi le parti entro sette giorni dal ricevimento della lettera. Questo è il punto che suscita più perplessità tra gli addetti ai lavori: pare improbabile che la convocazione possa avvenire entro una settimana in città come Milano in cui si registrano 20 mila nuove cause di lavoro all’anno. Si ricorda ancora il fallimento della conciliazione obbligatoria in tema di lavoro che accumulava molto ritardo. Tra l’altro, notano gli esperti, nel testo manca un riferimento al tetto massimo di attesa: di solito, decorsi 60 giorni, si considera espletato il passaggio amministrativo. Invece in questo caso l’azienda non potrà licenziare finché non avrà completato la conciliazione.
Quando la commissione avrà convocato le parti inizierà il confronto in cui l’azienda dovrà dimostrare che non esiste alternativa all’indennizzo e il lavoratore cercherà di sostenere le ragioni per cui il suo licenziamento è infondato, indicando magari opzioni alternative di ricollocamento. Il testo della riforma sottolinea che il comportamento delle parti davanti alla commissione di conciliazione sarà registrato in un verbale e consegnato al giudice nel caso in cui la conciliazione dovesse fallire. Il giudice valuterà e sanzionerà atteggiamenti scorretti. La commissione di conciliazione alla fine dei confronti può comunque formulare la sua proposta. Se le parti la rifiutano, la causa passa al dibattimento in tribunale.
Superata la fase conciliatoria, il datore di lavoro può mandare la sua raccomandata di licenziamento al lavoratore il quale ha 60 giorni per impugnarla (basta una lettera) e 270 giorni (dal ricorso) per depositare l’impugnazione. A questo punto si verifica spesso che il lavoratore, avendo ricevuto la lettera, si metta in malattia. La condizione di malattia infatti sospende l’efficacia del licenziamento. La legge prevede, al minimo, 180 giorni di malattia ma alcuni contratti collettivi ne prevedono da 12 a 18 mesi.
Ma torniamo all’iter normale: gli esperti prevedono che quando l’azienda comunicherà il licenziamento per motivi economici, la maggioranza dei lavoratori reagirà impugnando il licenziamento e cercando di dimostrare che avviene per motivi disciplinari o discriminatori (che prevedono il reintegro). Toccherà al giudice accertare se si tratti di motivo economico mascherato o meno, tenendo presente che il giudice, nel caso accertasse che i motivi sono realmente legati alla gestione, non può entrare nel merito della scelta aziendale. In poche parole se il giudice accerta che un’impresa ha realmente licenziato un centralinista per motivi strategici e non disciplinari, non può chiedere all’azienda conto del perché preferisca un software a una persona.
Per questa fase del dibattimento il decreto del Consiglio dei ministri ha applicato il rito abbreviato. Le cause per i licenziamenti dunque dovranno avere una corsia rapida. Diverse le ipotesi: dall’aumento del personale dedicato a queste cause alla creazione di un tetto ai rinvii (per esempio massimo sette giorni) fino all’adozione della procedura d’urgenza dell’articolo 700. In questo caso infatti il lavoratore dovrà dimostrare di avere tali problemi economici da non poter sostenere il normale iter della causa (rimanendo senza stipendio).
La causa abbreviata deve permettere al giudice di accertare prima se realmente la ragione del licenziamento è economica. Se questo aspetto non è accertato il licenziamento verrà dichiarato nullo, se è confermato, si passerà alla quantificazione dell’indennizzo che va da 15 a 24 mensilità. In questo frangente il giudice terrà conto anche di un eventuale rifiuto del lavoratore di accettare l’intervento di un’agenzia di ricollocamento. Espletato il primo grado, la causa procede poi verso gli altri gradi di giudizio.
Corriere.it – 25 marzo 2012