Letta nel discorso inaugurale annuncia il primo decreto del governo: l’abolizione degli stipendi a ministri parlamentari
Il neo presidente del Consiglio Enrico Letta ha annunciato che il primo decreto del suo governo sarà l’abolizione dello stipendio dei ministri per quei membri del governo che godano già delle mensilità da parlamentari, deputati o senatori che siano.
Quello degli stipendi dei rappresentanti in Parlamento è indubbiamente uno degli argomenti più caldi di questa delicata fase politica, che ha contribuito ad allontanare ulteriormente gli eletti dagli elettori in corrispondenza della crisi economica.
Come noto, infatti, quello delle spese dei politici è uno dei punti centrali del programma del MoVimento 5 Stelle, che ha già annunciato di voler rinunciare a circa 40 milioni di rimborsi elettorali, assieme alla decurtazione dello stipendio dei propri rappresentanti nelle due Aule.
Così, il premier Letta ha voluto intercettare questo malcontento crescente nel tessuto sociale del Paese, promuovendo nel suo discorso di insediamento sia il taglio degli stipendi dei membri dei governo e anche la ridefinizione – ma non l’abolizione – del finanziamento pubblico ai partiti.
Ma di cosa si tratta quando si parla di stipendi dei parlamentari? Innanzitutto, è bene distinguere tra diaria, indennità, rimborso per l’esercizio del mandato e per gli spostamenti.
Intanto, lo stipendio dei ministri politici è stato calcolato in 48.698 euro lordi all’anno, mentre quello dei tecnici all’insedimaneot di Monti ammontava a oltre 63mila euro lordi all’anno, che schizzavano a 193mila includendo le indennità. Quest’ultimo, è bene specificare, non dovrebbe essere toccato, visto che si parla di “doppi stipendi”.
Il vademecum della Camera dei deputati a partire dal 2012 ammonta a 5.246,54 euro mensili, da cui vanno decurtate le relative addizionali regionali e comunali, naturalmente da legare al domicilio fiscale del parlamentare.
Se dalla cifra sottraiamo la media nazionale di tali imposte, arriviamo a un’indennità media di 5mila euro, dove il lordo va invece commisurato a 10.435 euro, da cui devono essere ulteriormente decurtate le trattenute a fini previdenziali come pensione e trattamento di fine mandato, assistenziali e fiscali.
Per quei rappresentanti in Parlamento che abbiano un’ulteriore attività lavorativa, quindi, la media dell’indennità è calcolata lievemente più bassa, a 4.750 euro.
E arriviamo alla diaria: si tratta, sostanzialmente, del tanto criticato benefit economico per il soggiorno nella Capitale, stimata in 3.503,11 euro a testa per i parlamentari pendolari. Da questa somma, vanno eliminati 206,58 euro per ogni giornata di assenza dai banchi nelle date in cui siano state calendarizzate votazioni con procedimento elettronico. Ciò scatta per quei deputati e senatori che saltino oltre il 70% delle chiame prefissate nelle 24 ore.
Quindi, passiamo al rimborso per l’esercizio del mandato: inserito nel regolamento 2012, si tratta del fondo a cui i parlamentari possono attingere per svolgere le proprie funzioni di rappresentante nei confronti degli elettori. In realtà, il sovvenzionamento era già previsto in precedenza, tanto è vero che la somma finale è rimasta inalterata, con la stipula di ulteriori 3.690 euro post taglio di 500 euro del luglio 2010.
Questa cifra, viene riconosciuta a ogni deputato e non può superare la soglia del 50% e solo per selezionate voci di spesa, con relative certificazioni. Nello specifico, si tratta di collaborazioni (con tanto di copia del contratto), consulenze e ricerche, gestione dell’ufficio, usufrutto delle reti pubbliche di consultazione dati, convegni e supporto delle attività politiche.
LeggiOggi – 30 aprile 2013