Dopo le polemiche delle settimane passate, ieri il consiglio regionale del Veneto ieri ha scelto un approccio un po’ più soft al tema, ancora scottante, dell’avvelenamento da pfas, ascritto alla Miteni di Trissino. Ma la burrasca non è certo destinata a sopirsi. Primo, perché la tensione tra maggioranza e opposizioni è ancora forte; secondo, perché, «l’autorità giudiziaria sarà interessata presto da un nuovo esposto», fa sapere oggi su Vvox Marina Lecis (nella foto), esperto di diritto dell’ambiente nonché consulente del pool di legali che qualche mese fa ha impugnato davanti alla magistratura amministrativa «le soglie di tolleranza identificate dalla Regione».
In queste ore l’assessore regionale all’ecologia, il leghista Luca Bottacin, sta ripetendo alla nausea che l’amministrazione Zaia fa fatica ad individuare eventuali fattispecie penali perché non esistono limiti di legge alla presenza di pfas nell’ambiente. Come replica?
Ciò che la giunta sostiene non è vero. Basterebbe che si informassero meglio.
Perché?
Perché, tanto per fare un esempio, i limiti per gli alimenti e per le acque superficiali ci sono e come. E sono anche stati superati. Lo dicono perfino i dati elaborati dalla Regione Veneto. Tali soglie sono riconducibili a quelle, internazionalmente accettate, della agenzia statunitense per la protezione ambientale, la Us Epa.
E quali sarebbero?
Qui occorre fare alcune brevi differenziazioni nel grande mondo dei pfas, che sono una famiglia di sostanze chimiche assai grande. Per i pfoa il limite deve essere significamente inferiore a 0,2 microgrammi su kilo. Per il pfos deve essere significativamente inferiore a 0,08 micorogrammi su kilo. In una scardola pescata nel rio Cassacina a Creazzo nel Vicentino una scardola conteneva 57,4 microgrammi kilo. Non so se rendo. Ma soprattutto va precisato un concetto. Pur in assenza di limiti sulle acque potabili in materia di pfas, c’è una norma statale, il decreto legge 31 del 2 febbraio 2001, che è chiarissimo in tal senso.
E cosa prescrive?
Questa norma dice espressamente che ogni sostanza potenzialmente nociva o tossica, nelle acque potabili non ci deve stare. Siccome i pfas tossici lo sono e come e nuociono pure gravemente alla salute anche perché si accumulano nell’organismo, lascio ad altri le ovvie conclusioni.
Si cerca di minimizzare l’emergenza?
Sì. Non a caso noi stiamo aspettando la risposta alla campagna di monitoraggio sugli esseri umani potenzialmente contaminati, ben 400 mila persone, annunciata dalla Regione nel 2014.
La campagna sul monitoraggio alimentare dell’ultimo anno, per bocca degli stessi dirigenti regionali, è da buttare. Impossibile ricavare qualcosa di utile da test così lunghi e complessi?
No. Arpav per dire ha ottime professionalità e buone attrezzature. Anche le Ulss sono attrezzate per raccogliere i campioni in modo rigoroso. In pochi mesi si può far tutto.
Lei fa parte di una equipe tecnico-giuridica che in materia di pfas recentemente ha impugnato avanti due tribunali amministrativi le scelte dell’Istituto superiore della Sanità e quelle della Regione Veneto. Vi state muovendo anche sul piano penale?
Sì. Ad aprile presenteremo in quasi tutte le Procure della Repubblica del Veneto un esposto supportato da un copioso dossier tecnico-scientifico.
Perché in più uffici giudiziari?
Perché la contaminazione si sta espandendo. Riguarda sì il Veronese, il Padovano e il Vicentino. Ma ci sono evidenze che si stia allargando alla provincia di Rovigo. E potrebbe, via fiume, raggiungere anche il Veneziano come la Marca. Tra Padova e Venezia ci siamo già. Perché il Fratta Gorzone che più a nord riceve il flusso dell’Agno-guà è tutto inquinato. Mi sono stufata di ripeterlo. In Europa si tratta del più grave disastro ambientale di questo tipo. Negli anni la Regione è stata assai superficiale nel valutare questo disstro ambientale.
Parlare di Ovest Vicentino significa parlare però non solo di pfas, ma anche di reflui derivanti dal ciclo di lavorazione della concia. Vi siete fatti un’idea al riguardo?
Sulla questione della concia, con la lodevole eccezione di alcuni scienziati, di alcuni gruppi ristretti e di alcuni poco ascoltati movimenti politici, c’è stato di fatto un silenzio quarantennale. Il settore pelle ha avuto un certo peso nell’inquinamento, anche da Pfas; non c’è solo la Miteni da considerare. Se si pensa alla concia ci sono altri composti ben nocivi da mettere nel conto ecologico come cromo esavalente, nitriti e nitrati. Il mio ragionamento va ovviamente inquadrato in un’ottica di decadi perché col passare degli anni sono mutati, per certi versi, i fattori di stress ambientale.
Marco Milioni – Vvox – 26 marzo 2016