Non ci stiamo avviando verso la conclusione della pandemia. E a dirlo è Roberto Battiston, professore di Fisica sperimentale all’Università di Trento, che da due anni coordina l’Osservatorio dei dati epidemiologici, in collaborazione con l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), analizzando tutti parametri che indicano il diffondersi del Covid-19 nella società.
Professore, la pandemia sta finendo?
«La lotta contro la pandemia andrà avanti ancora per un po’, scemando nel tempo. Abbiamo avuto il picco di Omicron dopo cinque settimane di contagi, che ora stanno scendendo, anche se lentamente. La situazione va verso un miglioramento, ma fino al termine di marzo avremo una quantità di infetti attivi paragonabile a quelli di dicembre, con numeri significativi».
Quindi la diffusione capillare di Omicron non segnerà la fine della pandemia?
«La questione è che Omicron non raggiungerà tutti, come dice qualcuno. I vaccinati con booster sono protetti al 75% dall’infezione e quindi molti non prenderanno la variante. Inoltre non vanno sottovalutate nuove mutazioni. Se arrivasse una nuova variante altrettanto abile nel diffondersi, perforando in modo sostanziale i vaccini come Omicron, ma con ripercussioni più gravi, sarebbe molto pericoloso. Non si può escludere una simile possibilità. Finché il virus continua ad essere presente dappertutto e a modificarsi, non possiamo stabilire limiti alle possibilità di variazione».
Dobbiamo aspettarci altri colpi di scena?
«Omicron è esploso il 23 dicembre. In cinque settimane è successo di tutto, milioni di persone sono state contagiate. Non si può dire che nei prossimi mesi non arriveranno nuove sorprese, in un contesto in cui questo virus è evoluto continuamente».
Dall’11 febbraio non sarà più necessaria la mascherina all’aperto. Sono segnali di ritorno alla normalità?
«Significa che il governo sta assumendo che le cose stiano migliorando molto, visto che si parla di un arco temporale di 10 giorni, un niente dal punto di vista del processo epidemico. Va detto che l’Italia, fra tutti i paesi europei, è quello con le norme più stringenti, tra Green Pass rafforzato, obbligo vaccinale per over 50 e inizio delle vaccinazioni dei bambini tra i 5 e gli 11 anni. Con il fatto che questi pilastri della strategia di contenimento rimangono, il compromesso di togliere la mascherina all’aperto mi sembra abbastanza ragionevole. Tra tutte le questioni che ci sono, è la meno importante. Naturalmente mi auguro che dall’allentamento siano escluse le situazioni in cui si creano assembramenti».
C’è da aspettarsi comunque un peggioramento, seppur lieve?
«Probabilmente sì. Abbiamo visto la velocità fulminea con cui Omicron si è mossa, pur in presenza di mascherine all’aperto, quindi togliendole un effetto, seppur minimo, ci sarà. Va considerato che il numero di persone infette è ancora elevatissimo. Anche per questo è fondamentale scendere a livelli bassi di presenza del virus nella società. Perché in quel caso un focolaio sarebbe gestibile con tranquillità».
Aprire le discoteche è un rischio?
«La questione delle discoteche è un po’ diversa dal discorso mascherine. Le discoteche daranno un contributo forse osservabile alla nuova crescita dei casi, perché dalle riaperture possono derivare autentiche esplosioni dal punto di vista pandemico. Auspico che tutto vada nel modo migliore, ma al tempo stesso mi sembra che, dopo due anni di pandemia, manchino ancora modelli quantitativi che spieghino ai cittadini gli effetti delle decisioni prese, tra cui l’allentamento dei distanziamenti».
Si è parlato di quarta dose prima della fine dell’anno. Sarà necessaria?
«Se avremo ancora una diffusione del virus importante dopo la primavera, è possibile che si debba ricorrere anche alla quarta dose per difendere coloro che hanno ricevuto la terza dose già da cinque o sei mesi. Il caso di Israele fa scuola».
Il numero di decessi, ad oggi, è intorno a 375 medi giornalieri, nell’ultima settimana è salito a 2626 (era 3.341 a inizio aprile). Torneranno a scendere passato questo picco?
«Ora che terapie intensive si stanno piano piano liberando, mi aspetto che a metà febbraio anche i morti — in crescita esponenziale, seppur lenta, da fine ottobre — inizino a diminuire. Un dato interessante da mettere a fuoco sarebbe capire quanti dei morti sono dovuti alla Delta e quanti ad Omicron. Scopriremmo forse che la Delta è ancora oggi una delle principali cause di morte della pandemia».
Il Corriere del Veneto