Vincenzo Cordiano ha 60 anni, è un esperto di tumori del sangue, rappresentante regionale di «Medici per l’ambiente» e responsabile degli ambulatori di Ematologia Generale ed Oncoematologia dell’ospedale di Valdagno. Ed è stato il primo a lanciare l’allarme Pfas in Veneto, ipotizzando un collegamento tra la presenza di sostanze tossiche nell’acqua e alcune patologie presenti nella popolazione. Porta la sua firma una relazione con la quale, tre anni fa, chiedeva di promuovere una «Indagine epidemiologica sulle malattie ambientali da sostanze chimiche inquinanti persistenti».
«Era l’estate del 2013 e quel documento l’ho spedito a mezzo mondo», ricorda. Ora che l’allarme Pfas è esploso con lo studio della Regione e dell’Istituto superiore della sanità (Iss) – che ha evidenziato tracce di sostanze nel sangue di chi abita nella zona contaminata – Cordiano continua la sua personale battaglia contro l’inquinamento che dall’Ovest Vicentino si è esteso fino a coinvolgere alcune aree delle province di Padova e Verona.
«La prima volta che sentii parlare delle Pfas risale al 2006», racconta. «Un esperto commentava quanto accaduto negli Usa, dove la Dupont fu condannata a una multa di 300 milioni di dollari. In seguito si scoprì che quelle stesse sostanze denunciate in America venivano utilizzate da alcune industrie del Vicentino». Da lì i primi dubbi. «Tutti dicevano che non c’era pericolo. Andai a vedere le statistiche e trovai che l’Usl 5, ad esempio, ha il più alto numero di esenzioni del ticket per malattie alla tiroide e che nella zona c’è un’incidenza elevata di ictus e malattie cardiovascolari».
Da quel momento l’ematologo non ha mai smesso di denunciare pubblicamente i rischi collegati alle Pfas. «Spedii il documento ai deputati del Veneto, ai consiglieri regionali, alle Usl e a tutti i sindaci vicentini. Non mi rispose nessuno». In realtà, qualcosa si mosse. «Un sindaco si lamentò della divulgazione del documento direttamente con l’Usl 5, che avviò un procedimento disciplinare poi concluso con una censura scritta perché, secondo loro, con il mio comportamento avevo danneggiato l’immagine dell’azienda qualificandomi come un dirigente dell’Usl senza aver chiesto l’autorizzazione».
Tre anni dopo, i Comuni si sono dovuti dotare di ordinanze per limitare l’uso dei pozzi artesiani. Ma Cordiano è convinto che non basti. «L’acqua del rubinetto non è sicura, anche con il nuovo limite di 500 nanogrammi di Pfas per litro, che sono stati imposti. Basti pensare che nel Wermont sono ammessi al massimo 20 nanogrammi, in Virginia 40». La sua è una proposta-choc: «Occorre interrompere immediatamente la somministrazione dell’acqua, compresa quella dell’acquedotto, ricorrendo a fonti alternative di approvvigionamento per la popolazione. Inoltre bisogna sospendere la produzione e la commercializzazione degli alimenti inquinati, perché è dimostrato che le Pfas sono presenti in circa il 15 per cento del campione analizzato».
Significherebbe mettere in ginocchio l’economia di un’ampia parte del Veneto, visto che nella zona l’acqua della falda viene utilizzata per irrigare i campi e, in molti casi, per abbeverare le bestie.
«Mi rendo conto – dice – che la sospensione della rifornitura di acqua potabile e il blocco della produzione di alimenti, avrebbe effetti pesanti. Ma come medico penso sia necessario interrompere immediatamente la principale via di esposizione alle Pfas, che è quella alimentare».
Proposta che fa inorridire il presidente regionale della Coldiretti, Martino Cerantola: «Ci sono tanti esperti che dicono che non ci sono pericoli per la salute, altri che arrivano a chiedere di boicottare i nostri prodotti: i medici dovrebbero mettersi d’accordo una buona volta…». Gli effetti di un embargo totale, sarebbero devastanti: «Ci sono centinaia di aziende che si ritrovano a fare i conti con un problema di inquinamento provocato da altri. Prima di creare ulteriori allarmismi, almeno aspettiamo di vedere i risultati dei nuovi test che saranno effettuati sugli alimenti».
Contraria alla linea dura anche Loredana Musmeci, direttrice del Dipartimento ambiente dell’Iss: «È prematuro bloccare le produzioni nella zona, tanto più che i primi test dicono che solo una minima percentuale degli alimenti presenta livelli di Pfas apprezzabili. Per quanto riguarda l’acquedotto, poi, sarebbe addirittura controproducente: i nuovi limiti garantiscono una qualità dell’acqua certamente superiore a quella che si otterrebbe cercando alternative alla distribuzione attraverso la tradizionale rete idrica».
Andrea Priante – Il Corriere del Veneto – 26 aprile 2016