Iniziamo con un avvertenza: questo articolo avrebbe dovuto riguardare la discussione in consiglio regionale della legge di Stabilità per l’esercizio 2015 (che per i comuni mortali è il bilancio della Regione) ma nelle righe che seguono non troverete nemmeno un collegamento alle modalità con cui il Veneto dovrà spendere i suoi denari da oggi in poi.
«A palazzo Ferro Fini ormai più che l’amministrazione contano altre questioni», la buttano là gli stessi consiglieri. Gli argomenti che contano in questi giorni infatti sono i medesimi che tengono banco sulle pagine dei giornali da qualche settimana: la tensione tra Tosi e Zaia, la metamorfosi della Lega salvinian-lepenista, la confusione che regna sovrana nell’alleanza di centrodestra e la data delle prossime elezioni che, dopo la bocciatura del 17 maggio per evitare di schiantarsi con l’adunata nazionale degli alpini all’Aquila, potrebbe slittare dal 10 al 31 maggio per far in modo che i ballottaggi dei Comuni non cadano il 24 maggio, giorno predestinato per la pentecoste ebraica. D’altra parte è nella natura umana (e soprattutto politica) pensare al futuro. E quindi il consiglio è diventato il luogo degli scontri (tra Pd e le varie opposizioni) e dei posizionamenti nelle tre declinazioni di massima (pro-Zaia, pro-Zaia con riserva, contro Zaia). E soprattutto è diventato il luogo per eccellenza della melina. Al netto delle dichiarazioni più centrate in apertura di dibattito da parte di Costantino Toniolo (Ncd) e Piero Ruzzante (Pd) che però, a rigor del vero, sono rispettivamente il relatore e il controrelatore della legge di bilancio e quindi – scusate il gioco di parole – non potevano sbilanciarsi troppo, tutti gli altri interventi sono andati completamente fuori tema. A partire dalle consuete critiche del centrosinistra sull’assenza del governatore Luca Zaia in consiglio regionale (va detto però che difficilmente un consiglio inizia senza che qualche esponente del Pd faccia notare l’avarizia di apparizioni del governatore a palazzo Ferro Fini), fino ad arrivare a improbabili aneddoti sulle preoccupazioni dell’allora governatore Giancarlo Galan sulle lobby che volevano le trivellazioni in Adriatico nel lontano 2001 (autore: Renzo Marangon, Fi). Non sono mancati i sassolini nelle scarpe che sono diventate vere e proprie frane di massi come nel caso dell’addio alle armi di Raffaele Grazia (Fp) che ha annunciato l’intenzione di non ricandidarsi con una stoccata al governatore. «Non posso dimenticare quanto strida l’atteggiamento avuto da Zaia nei confronti delle celebrazioni per l’Unità d’Italia da lui vissute con fastidio e vergognosa sopportazione – ha spiegato -. Ma ho visto che tre anni dopo, lo stesso Zaia non ha avuto fastidio nè pudore a sfilare in piazza del Popolo a Roma a braccetto del suo innominabile segretario di partito e soprattutto a fianco di quei nuovi o forse troppo vecchi nazionalisti tatuati di svastiche e croci runiche». Inutile dire che l’assist all’opposizione non è finito fuori campo e la campagna elettorale ha fatto pieno ingresso nell’Aula. «Qui è tutto bloccato – è intervenuto Bruno Pigozzo (Pd) – Univeneto è morta, ma la Regione non si preoccupa delle alternative, la portualità veneziana sembra non esistere, i bacini di raccolta rifiuti sono ancora fermi, la giunta non vuole affrontare le questioni relative alla Tav di Vicenza, non c’è nessun progetto di mobilità per il futuro». Per quanto le dichiarazioni di Pigozzo e dei democrats (hanno parlato tra gli altri Berlato Sella, Niero, Fracasso e Sinigaglia) siano giocoforza interessi di parte, va detto che da mesi ormai i lavori del consiglio regionale procedono a rilento, le nomine delle partecipate sono rimaste in sospeso e gli incarichi scaduti vengono puntualmente prorogati in attesa del dopoelezioni. Al momento anche la legge quadro sull’editoria che era stata licenziata in commissione con voto trasversale e la legge quadro sullo sport, anche questa approvata a larghissima maggioranza, rischiano di restare in sospeso nel limbo dell’indecisione che caratterizza la discussione sul bilancio. E se Giovanni Furlanetto (PiV) è tornato sul referendum per l’indipendenza del Veneto, l’unica certezza è che andremo a votare con un turno unico. Il Pd, alla luce di un possibile strappo interno al centrodestra, ha pensato bene di bloccare sul nascere l’emendamento sul ballottaggio presentato da Francesco Piccolo e Diego Bottacin. «Non si cambia la legge elettorale in corsa, siamo al limite della costituzionalità», ha sbottato Ruzzante. Soprattutto quando per la prima volta, i democratici hanno qualche speranza di vittoria al primo turno.
Alessio Antonini – Corriere del Veneto – 11 marzo 2015