Il profumo di parmigiano, robiola e pecorino mette il turbo all’export dei formaggi italiani. Tanto che nell’ultimo quinquennio le esportazioni sono cresciute del 40%.
«E anche quest’anno ? sottolinea Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, l’associazione dei produttori del lattiero-caseario ? l’export continua la sua corsa: nei primi sette mesi dell’anno l’incremento è stato, in quantità, del 5%. Per un valore complessivo di oltre un miliardo».
In un’economia stagnante Ambrosi, a buon diritto, rivendica per l’industria casearia la palma di «settore trainante che fa sviluppo» malgrado un Sistema paese assente. Il comparto con i suoi 14,2 miliardi di fatturato, rappresenta il primo comparto alimentare nazionale. Il 75% della produzione è concentrata nelle regioni del Nord. Complessivamente in Italia si lavorano 13 milioni di tonnellate di latte che generano, tra l’altro, un milione di tonnellate di formaggio e tre di latte alimentare fresco e Uht.
«L’export continua ad andare a gonfie vele – aggiunge l’imprenditore ?. I prodotti italiani sono sempre più conosciuti e diffusi, nonostante l’Italian sounding renda difficile l’accesso ad alcuni mercati. Pochi settori industriali possono vantare le performance del lattiero caseario, che tra il 2005 e il 2010 ha visto crescere le proprie vendite all’estero del 26% in volume e del 40% in valore».
E sul mercato interno?
È tutta un’altra storia: è fermo. Gli acquisti si spostano da un prodotto all’altro, ma i volumi complessivi rimangono costanti. Tanti prodotti tradizionali hanno lasciato spazio a quelli di imitazione o sono stati sostituiti da altri che hanno prezzi concorrenziali e più accessibili per le famiglie, con un rapporto qualità prezzo per noi spesso irraggiungibile.
C’è un problema di competitività?
Sì, infatti abbiamo lanciato l’allarme competitività. È un tema non più rinviabile: se si vuole salvaguardare con fatti concreti questa grande filiera italiana bisogna dare risposte concrete alle richieste delle industrie, che chiedono solo di combattere ad armi pari con la concorrenza, e maggiore attenzione da parte delle istituzioni. L’allarme non riguarda solo il nostro settore: l’Italia deve tornare a fare una politica industriale.
Non sta esagerando? Il caseario non ha problemi congiunturali.
È vero che le nostre imprese si sono dimostrate particolarmente virtuose. Salvo casi eccezionali, nessuno di noi ha fatto ricorso alla cassa integrazione o alla mobilità. E i livelli occupazionali se non sono cresciuti sono rimasti sostanzialmente stabili. Inoltre abbiamo rinnovato un contratto nazionale del lavoro senza neanche un giorno di mobilitazione: abbiamo concesso aumenti superiori a quelli degli altri settori industriali nonostante una preoccupante erosione dei margini.
Dovuta a che cosa?
Non solo ai rapporti difficili con la gdo, che dovrebbero comunque essere meglio regolamentati, ma anche a una serie di nodi che andrebbero sciolti. Uno di questi è quello della liquidità delle imprese, costrette ad accedere al credito a causa del divario tra i tempi di pagamento delle materie prime e dei prodotti finiti e quelli degli storici ritardi dei rimborsi Iva.
Oggi si apre, a Parma, Summilk, il convegno mondiale del latte. Qual è il suo valore?
È un grande momento di incontro tra agricoltura, industria e mondo della ricerca. Un’occasione per capire cosa si sta facendo nel mondo per dare risposte concrete alla crescita della domanda di cibo che arriva da quei paesi che crescono a ritmi vertiginosi; ma anche per confrontarsi con colleghi provenienti da tutto il mondo con visioni differenti sul mercato e sul futuro del settore
Ilsole24ore.com – 15 ottobre 2011