Ci mancavano le ultime convulsioni politiche del Pdl e di Silvio Berlusconi a complicare il percorso della legge di stabilità alla Camera. Il ministro del Tesoro Vittorio Grilli non si aspettava tante critiche alla costruzione della manovra di bilancio.
Che tra le altre cose aumenta di un punto le aliquote Iva e le riduce per i due primi scaglioni Irpef, anche se gran parte del risparmio fiscale (o tutto, a seconda dei calcoli) viene mangiato dal taglio delle detrazioni e deduzioni d’imposta. E se in un primo momento sembrava il Pd di Pier Luigi Bersani il partito più «arrabbiato» e intenzionato a modificare la manovra da 11,5 miliardi, adesso dai democratici arrivano segnali di pace. Cambiamenti se ne chiedono, dice il co-relatore in Commissione Bilancio Pier Paolo Baretta, ma tutto sommato non incompatibili con la struttura del piano progettato da Grilli. Al contrario, però, la linea «dura» anticipata nei giorni scorsi da molti esponenti del Pdl adesso sembra rafforzata: e il co-relatore del provvedimento, l’ex-ministro Renato Brunetta si dice «tranquillissimo e determinatissimo» a «riscrivere» profondamente la legge di stabilità. Altrimenti, dice, «se non serve al paese meglio non farne nulla e lasciarla perdere». Brunetta nega recisamente che ci sia un irrigidimento del partito di Berlusconi, magari dovuto alle ultime decisioni del Cavaliere. E nega anche che tra lui e l’altro relatore in Commissione Bilancio (appunto, il Pd Baretta) ci sia disaccordo sul percorso parlamentare del provvedimento. Detto questo, l’ex-ministro azzurro appare contrario ad accettare di concordare modesti correttivi e aggiustamenti al provvedimento. Un provvedimento che «non fa altro che correggere alcuni andamenti distributivi», mentre ora servirebbe qualcosa di «molto diverso». Ovvero, un doppio intervento di netta e contemporanea riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese. Le risorse? Ovviamente parte di quelle contenute nella manovra Grilli, la lotta all’evasione fiscale, possibili entrate una tantum (si pensa all’intesa fiscale con la Svizzera), e il taglio degli incentivi alle imprese indicato nel piano Giavazzi.
Diversa sembra invece la linea del Partito democratico, almeno a sentire il co-relatore Pier Paolo Ba-retta. Messa da parte l’idea di qualche giorno fa di rinunciare allo sgravio Irpef pur di evitare l’aumento dell’Iva. oggi Baretta afferma che «bisogna salvaguardare il principio di iniziare un percorso di riduzione delle tasse». Tre le ipotesi in campo: lasciare il taglio delle aliquote Irpef, aumentare le detrazioni per lavoro dipendente e autonomo, oppure intervenire sul cuneo fiscale e contributivo che grava su imprese e dipendenti. Scontata, spiega Baretta, la cancellazione della retroattività del taglio delle detrazioni, si vorrebbe se non altro innalzare il tetto di 3.000 per le stesse detrazioni. Sul fronte Iva, il deputato Pd afferma che si potrebbe distinguere tra l’aliquota più bassa, che riguarda i beni di
consumo più popolari e potrebbe essere lasciata al 10%, e quella «generale», che potrebbe invece salire come dice il governo al 22%. Infine, va cancellato l’aumento delle ore di lavoro per gli insegnanti e limati i tagli ai trasferimenti. Come si vede, sembrano due approcci decisamente differenti, che non sarà facile conciliare (anche se i due co-relatori si dicono convinti di farcela). I tempi sono stretti: oggi si conclude la discussione generale in Commissione Bilancio, imminente è il termine perla presentazione degli emendamenti, domani o dopodomani Brunetta e Baretta incontreranno il ministro del Tesoro Grilli. E tutto sarà più chiaro.
Il Giornale – 29 ottobre 2012