di Stefano Simonetti*. Gli effetti diretti e indiretti delle norme su aziende e professionisti. La legge di stabilità 2013 ha bloccato acquisti e affitti di immobili nella Pa, precludendo la possibilità di acquisizione per le aziende Ssn dei nuovi spazi per l’intramoenia. È questo uno degli effetti della nuova legge e gli esperti ne analizzano anche le ricadute fiscali (con uno slalom tra Iva e detrazioni), previdenziali (la ricongiunzione non è più onerosa, ma la pensione cala) e gestionali (con la sterilizzazione delle plusvalenze). Puzzle di norme nella legge di stabilità 2013 che, oltre ai più macroscopici aspetti finanziari, contiene novità che interferiscono su leggi appena approvate. Come nel caso del decretone che ridisegna l’intramoenia prevedendo la possibilità di acquisto o locazione degli spazi per Asl e ospedali, “disarmato” dalla norma della stabilità che vieta proprio acquisti di immobili e locazioni.
Le norme economiche. Nella legge di stabilità 2013 (Legge 228/2012, Gu n. 302 del 29 dicembre) assumono particolare importanza per la Sanità i commi da 132 a 135.
Con questi interventi si provvede ad aumentare le percentuali di riduzione del costo di acquisto di beni e servizi, esclusi i farmaci, dal 5 al 10% nonché di quello dei dispositivi fino al 4,4% a regime nel 2014. Si tagliano poi 600 milioni nel 2013 e 1.000 nel 2014 al Fsn, ma il saldo sarà ben peggiore. Va infatti considerato che l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% a far data dal 1 luglio prossimo porterà un aggravio di centinaia di migliaia di euro per ciascuna azienda sanitaria; e per fortuna non è stato confermato il passaggio dell’Iva dal 4% al 10% per le prestazioni socio-sanitarie rese da cooperative e loro consorzi. Inoltre alcuni commi – apparentemente inoffensivi – produrranno ulteriori maggiori costi a carico delle aziende sanitarie: la mobilità sanitaria internazionale (comma 82) e l’assistenza sanitaria indiretta (comma 84) passano alle aziende.
I finanziamenti che all’ultimo momento hanno trovato allocazione nel maxiemendamento non mutano il quadro complessivo negativo perché si tratta di risorse destinate a progetti specifici (Sla, Lilt ecc.) ovvero di elargizioni settoriali di dubbia equità (policlinici non statali, Gaslini e Bambino Gesù).
Le inesattezze sui fannulloni. Una norma sul personale che peraltro riguarda il solo Ssn e che scatenerà sicure polemiche e contenzioso è il comma 88 con il quale viene stabilita una verifica straordinaria da effettuarsi nei confronti del personale sanitario dichiarato inidoneo alla mansione specifica. Le finalità della norma sono evidenti, come è evidente e noto a tutti il diffuso problema dell’abuso delle cosiddette “prescrizioni”. Ma il vero problema è costituito non dalle inidoneità complete, bensì dalle limitazioni che vengono imposte al pieno utilizzo di un medico o di un infermiere (esonero dai turni o dalle notti, sollevamento pesi, allergie ecc.) che sono la reale e maggiormente diffusa difficoltà per l’erogazione dell’assistenza.
In altri termini, la legge doveva intervenire più sull’articolo 41, comma 6, che sull’articolo 42 del decreto 812008. La norma, invece, non tocca le inidoneità parziali ed è comunque molto problematica perché è anzitutto una dichiarazione di sfiducia totale per la figura del medico competente e per i collegi medico-legali delle Asl. È talmente prevenuto il Legislatore che la verifica straordinaria viene affidata all’Inps. Inoltre la stesura porterà dei problemi applicativi perché la locuzione «personale sanitario» non è corretta: osi dice «personale del ruolo sanitario» oppure si ingenerano equivoci che sarebbe preferibile evitare.
Già in occasione della conversione del decreto Balduzzi ho avuto modo di segnalare come con la formula scelta si porrà senz’altro la questione degli Oss. Tra l’altro non vedo perché dalla verifica dovrebbero restare esclusi gli ausiliari i quali – come sanno gli addetti ai lavori – costituiscono un problema nel problema. Infine il percorso e le modalità della verifica sono contorte (decreto del ministro, competenza dell’Inps e possibile utilizzo di medici Asl) e di ingiustificata lunghezza (dodici mesi).
Puzzle per il pubblico impiego. Abbiamo poi una serie di interventi disarticolati su tutto il pubblico impiego, comprese ovviamente le aziende sanitarie. Le norme sono disseminate in tutto il lunghissimo articolo 1 e trattano argomenti molto eterogenei. Anzitutto i commi 98-101 sugli interventi governativi dovuti alla sentenza della Corte costituzionale 2232012 che aveva annullato l’articolo 12, comma 10, della legge 1222010. Tutto torna come prima e per i dipendenti pubblici non si estende il Tfr ma resta il Tfs che, per la Sanità, è denominato «indennità premio di servizio». Il comma 98 sostituisce in buona sostanza i contenuti del decreto legge 185, non convertito.
Blocco di acquisti di immobili e affitti: e l’intramoenia? Il comma 138 tratta di riduzioni di spese per le pubbliche amministrazioni. Nel 2013 nessuna amministrazione potrà acquistare immobili né stipulare contratti di locazione, mentre nel 2014 il divieto verrà derogato soltanto quando siano comprovate la «indispensabilità e indilazionabilità». Poiché le aziende sanitarie sono espressamente ricomprese nell’intervento, la norma confligge con le previsioni del decreto Balduzzi che prevedono la possibilità di acquisire spazi esterni per lo svolgimento dell’Alpi. A meno che questo comma non venga inteso, con un po’ di malizia, come una insperata semplificazione per pervenire – senza particolari giustificazioni – direttamente allo studio privato in rete, che nelle intenzioni del Legislatore rappresenta l’ultima, residuale possibilità per lo svolgimento della libera professione.
Mobili, arredi e auto blu. Novità assoluta è la misura fissata dal comma 141 sul taglio dell’80% della spesa media 2010-2011 per mobili e arredi. Il successivo comma 143 torna sulle auto di servizio stabilendo fino a tutto il 2014 il divieto di acquisto. Per fortuna il comma 144 chiarisce che ambedue le disposizioni non si applicano nel caso di acquisti «per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza». Con il comma 146 sono in pratica vietati gli incarichi di consulenza informatica, salvo «casi eccezionali adeguatamente motivati».
Assunzioni, congedi e precari nel caos. Il comma 147 interviene ancora una volta – è la quinta nel giro di pochi anni -sull’art. 7, comma 6, del decreto 165/2001, cioè sul grimaldello con il quale tutte le pubbliche amministrazioni aggirano il blocco delle assunzioni. Contratti libero-professionali e co.co.co. non sono più rinnovabili e la proroga è consentita – è l’ennesimo caso – «in via eccezionale». Tutte le misure potrebbero in teoria essere aggirate e vanificate proprio perché concetti come «eccezionalità» o «adeguata mo- tivazione» sono tanto generici quanto soggettivi e non basta certo il richiamo alla responsabilità erariale o disciplinare del dirigente per assicurare il rispetto della norma.
Saltando centinaia di commi arriviamo al 339 con il quale si rinvia alla contrattazione collettiva la definizione delle modalità di fruizione dei congedi parentali a ore. L’emendamento non può non far ricordare l’omologa nonna della legge 133/2008 che prescriveva per tutti i dipendenti pubblici la fruizione oraria di “tutti” i permessi e non solo di quelli parentali. È inutile dire che della norma del 2008 si è persa ogni traccia. Il rinvio alla «contrattazione collettiva di settore» suona beffardo per i dipendenti pubblici e induce a pensare che il presentatore dell’emendamento ignori che fino al 2015 sono annullati i contratti collettivi del pubblico impiego, per cui si potrebbe presumere un applicazione differenziata (pubblico/privato) dell’importante disposizione.
Da ultimo il comma 400 stabilisce che i contratti del personale precario possono essere prorogati fino al 31 luglio prossimo. La disposizione è assunta nelle more della annonizzazione della legge Fornero al pubblico impiego. La previsione della proroga è solo una possibilità perché in concreto ogni amministrazione – e quindi ogni azienda sanitaria – dovrà valutare attentamente la compatibilità della proroga con due norme di carattere finanziario: l’articolo 2, comma 71, della legge 191/2008 (che blocca le spese del personale al valore del 2004 diminuito dell’ 1,4%) e il successivo articolo 9, comma 28, della legge 122/2010 (che impone per il lavoro flessibile un taglio del 50% rispetto allo speso nel 2009). Un’altra criticità riguarda l’oggetto della proroga che contempla soltanto i contratti di «lavoro subordinato a tempo determinato».
Niente da fare per partite Iva, co.co.co. , lavoratori in somministrazione ecc. che rappresentavano il “vero” precariato e continueranno a esserlo. È nota la risonanza che ha acquisito nelle ultime settimane la questione dei precari, concentrati soprattutto nella scuola e nella Sanità e l’emendamento costituisce una risposta di tipo congiunturale di esclusiva portata giuridica che non supera tuttavia i rigorosissimi vincoli finanziari di cui si diceva sopra. Per le aziende sanitarie il comma è però francamente incomprensibile alla luce della deroga per il personale sanitario inserita in sede di conversione del decreto Balduzzi con la quale si è ritenuto di far fronte alla ineludibile necessità di garantire la continuità dell’assistenza. Il successivo comma 401 apporta una modifica strutturale al decreto 165 introducendo una riserva fino al 40% dei posti nei concorsi pubblici. Viene altresì disposta una valorizzazione mediante un «apposito punteggio» dell’esperienza maturata con co.co. co. presso la stessa amministrazione.
L’emotività che ha segnato l’approccio alla questione dei precari ha però confuso non poco gli estensori della norma. A parte che a una situazione congiunturale è stata data una soluzione strutturale, si rilevano due criticità di non poco conto. La prima riguarda il cumulo delle riserve. Il decreto Brunetta aveva già fissato una riserva fino al 50% dei posti per il personale interno in possesso dei titoli. Il cumulo tra le due riserve potrebbe portare alla paradossale conseguenza di lasciare ai candidati “normali” un posto ogni 10 messi a concorso. La seconda concerne la circostanza che le modalità per definire l’apposito punteggio saranno contenute in un Dpcm che, con una apodittica affermazione della nonna stessa, costituisce «principio generale a cui devono conformarsi tutte le pubbliche amministrazioni».
Orbene, in tema di regolamentazione dei concorsi nel Ssn, la Corte costituzionale ha già avuto modo di esprimersi con chiarezza nel senso che lo Stato deve limitarsi a dettare i principi generali, mentre la normativa di dettaglio è competenza delle Regioni (sentenza n. 380 del 14 dicembre 2004). Andrebbe quindi tutto bene se il comma 401 avesse espresso un «principio generale» quale quello di un riconoscimento in termini di punteggio riservando la definizione con Dpcm di modalità e criteri ai soli concorsi nelle amministrazioni centrali; ma cosi non è stato e non si è neanche ritenuto di prevedere che il decreto fosse adottato previa intesa in sede di Conferenza permanente, come tante volte è già avvenuto. È inevitabile presumere che la questione finirà alla Corte costituzionale.
Dunque il Legislatore ha affrontato le criticità del fenomeno del precariato ricorrendo a due strumenti, equamente differenziati: una riserva di posti nei concorsi (per il tempo determinato) e una valorizzazione nei titoli (per i co.co.co.), ignorando però del tutto la situazione dei contratti d’opera e dei lavoratori somministrati.
*Stefano Simonetti – Il Sole 24 Ore sanità – 15 gennaio 2013