Il voto della Camera sulla nuova legge elettorale arriverà probabilmente tra giovedì e venerdì. I tempi contingentati e l’accordo sancito ieri dal voto in commissione tra le principali forze politiche (Pd-M5s-Lega-Fi) dovrebbe garantire il successo dell’iter accelerato. Poi la parola passerà al Senato dove, nelle intenzioni dei firmatari dell’intesa, il via libera definitivo è previsto entro la prima settimana di luglio. Una corsa che più di qualcuno tenterà di ostacolare (da non sottovalutare che a presiedere la commissione Affari costituzionali dove approderà prossima settinmana il testo è il centrista Salvatore Torrisi). L’accordo al momento sembra però granitico e la campagna elettorale è già cominciata. Renzi ieri ha fatto un appello al voto utile sostenendo che l’unico modo «per evitare le larghe intese» con Berlusconi è votare Pd e non i partitini, a partire da quello che si va formando attorno a Giuliano Pisapia. L’obiettivo del leader dem (così come di Grillo e Salvini) è di avere una legge elettorale per tornare in tempi brevi al voto, già a settembre in concomitanza con le elezioni tedesche, ha superato qualunque obiezione. Alla Germania del resto fa riferimento anche la proposta di legge che il relatore Emanuele Fiano presenterà in Aula alla Camera. In realtà con il sistema tedesco questa legge elettorale ha in comune solo il riparto proporzionale dei seggi e lo sbarramento al 5% per l’ingresso in Parlamento. La differenza più evidente è l’assenza del voto disgiunto, che in Germania consente agli elettori di votare il loro candidato nel collegio uninominale e una lista diversa nel proporzionale. In Italia invece si vota la lista, che trascina anche il candidato dell’uninominale. Di fatto l’elettore può scegliere solo il partito. Chi entra in Parlamento, tanto nei 225 collegi uninominali, che nel listino proporzionale delle 28 circoscrizioni – in cui potranno essere iscritti da 2 a sei nomi – verrà quindi deciso dalle segreterie dei partiti. Il loro numero sarà legato ai voti ottenuti da ciascuna forza politica a livello nazionale e poi nella circoscrizione proporzionale. Insomma sarà un Parlamento con almeno 2/3 di «nominati» (volendo escludere i collegi) con buona pace di quanti – a partire dal M5s – avevano tuonato contro i 100 capilista bloccati dell’Italicum. Lo stesso identico sistema (e questa è una novità assoluta) si applicherà anche al Senato sia pure a numeri ridotti (i collegi sono 112). Sui collegi però la questione non è ancora chiusa ed è probabile che nel passaggio in Aula arriverà qualche modifica. È la prima volta infatti che la loro ripartizione viede decisa attraverso la legge elettorale e non affidata al governo. Un espediente figlio della fretta poiché la delega al Viminale avrebbe rischiato di allungare i tempi di almeno un mese. Proprio per fare presto si è deciso di “recuperare” i collegi del Mattarellum, che risalgono però ai primi anni ’90 (si utilizzò il censimento del ’91). Tant’è che era già stata prevista e elaborata una riformulazione dei collegi, poi superata dall’introduzione del Porcellum che non prevedeva più i collegi. Da allora a oggi la ripartizione della popolazione è certamente cambiata e dunque non verrebbe rispettato il principio stabilito dalla Costituzione secondo cui la suddivisione deve avvenire sulla base dei dati dell’ultimo censimento, che in questo caso sarebbe quello del 2011.
Barbara Fiammeri – Il Sole 24 Ore – 6 giugno 2017