È un Letta ottimista, sereno e che guarda lontano. La legge di Stabilità, che oggi pomeriggio vedrà la luce, «sarà una legge pluriennale per dare certezze nell’arco di tre anni a imprese e lavoratori». Il presidente del Consiglio, al termine dell’incontro con il premier finlandese Jyrki Katainen, precisa che oggi «ci sono le condizioni per fare politiche di lungo periodo» e spera in un occhio di riguardo da parte dei mercati e di Bruxelles perché «l’Italia ha i conti in ordine, il debito pubblico e il deficit scendono e dunque il nostro Paese è credibile per chiedere provvedimenti destinati alla crescita».
Poco prima Enrico Letta, insieme al ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, era salito al Colle per illustrare al capo dello Stato Giorgio Napolitano i punti più importanti della manovra con la quale governo e Parlamento delineano il perimetro delle scelte di politica economica fino al 2016.
Ma la serenità del premier è durata poco. Nel pomeriggio cominciano a girare bozze della legge di stabilità nelle quali, tra gli altri interventi, vengono anticipati tagli pesanti nella sanità pari a 4,15 miliardi di euro in tre anni. In particolare 2,6 sul finanziamento alla spesa sanitaria, 660 come tetto ai farmaci, 840 sulla spesa ospedaliera. Il ministro delle Riforme Dario Franceschini e il ministero del Tesoro si affrettano a precisare che le bozze «sono infondate e che non corrispondono al testo sul quale sta lavorando il governo». Si tratterebbe solo di «resoconti preventivi» destinati a essere modificati profondamente. Ma l’allarme bipartisan è scattato con il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin delusa anche perché lo stesso Saccomanni, che aveva incontrato l’altro giorno, le aveva garantito «che non ci sarebbero state riduzioni». «Il sistema sanitario — spiega il ministro — non può reggere tagli di questo tipo, al massimo si può fare una riprogrammazione della spesa sanitaria sui prossimi tre anni e una nuova spending review interna».
A fianco della Lorenzin sono scesi praticamente tutti i partiti. Dal Pd alla Lega, da Scelta civica a Sel. Anche Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, critica la sforbiciata alla sanità «perché questi tagli finiscono per ripercuotersi sugli ammalati e sulle famiglie». Così il governatore leghista della Lombardia Roberto Maroni arriva a «rabbrividire di fronte all’idea che la sanità venga tagliata perché siamo già ridotti all’osso e qualunque taglio rischia di ridurre i servizi». Così il candidato alla segreteria del Pd Gianni Cuperlo si dice «molto preoccupato, in questi anni sono stati tagliati molti miliardi e in settori primari è stato attaccato il diritto alla salute».
Il governo scende in campo anche per buttare acqua sul fuoco di queste tensioni con il ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio che assicura che l’esecutivo «sta lavorando per evitare ulteriori sacrifici alla gente». Certo il problema è complesso, anche perché due dei quattro miliardi di euro previsti dalla scure del governo per rimanere dentro la soglia del 3% sono da addebitare all’eliminazione annunciata dei nuovi ticket sanitari, introdotti a partire dal 2014 negli ultimi mesi del governo di Berlusconi.
Il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta, per un giorno, non commenta la legge di stabilità sostenendo di «brancolare nel buio, di non averla vista». Mentre il leader di Scelta civica Mario Monti propone al premier di siglare un« patto di coalizione e di legislatura, perché le larghe intese sono l’unica forma di governo che può consentire ai partiti di condividere il costo politico dei cambiamenti».
Roberto Bagnoli – Corriere della Sera – 15 ottobre 2013