È partito il rush finale della Legge di Stabilità in Senato. Ieri scadevano i termini in commissione Bilancio per la presentazione degli emendamenti da parte dei gruppi parlamentari e il Pd ha proposto di incrementare di 400 milioni gli stanziamenti per ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro. Gli emendamenti del governo dovrebbero invece essere presentati entro domani. Il menù delle modifiche possibili è già fissato: dovrebbero riguardare soprattutto il Tfr in busta paga, le aliquote sui fondi pensione e la retroattività delle norme sull’Irap. Diventa sempre più improbabile, invece, che la riforma della tassazione sulla casa (con l’introduzione della Local tax) entri nella manovra. I tempi sarebbero troppo stretti e dunque il governo si starebbe orientando verso un decreto legge ad hoc. Intanto il governo cerca di sciogliere uno dei nodi più delicati della Legge di stabilità: i tagli alla sanità.
Si tratta dei 4 miliardi di tagli alle Regioni che rappresentano un’architrave della manovra. I saldi non possono essere cambiati. Ma all’interno di questo perimetro si sta cercando di rendere più sopportabili i sacrifici per i governatori sulla falsa riga di quanto fatto per i Comuni.
SANITA’. DOVE CALA LA SCURE
II punto centrale sono i tagli al Fondo sanitario. Le Regioni vorrebbero che fosse il governo, in modo esplicito, a dire dove andrà calata la scure. Si tratta di una scelta politica e i governatori non vogliono essere costretti a prendere loro decisioni impopolari. Una delle possibilità alla quale si lavora è, comunque, quella di agire sulla spesa farmaceutica ospedaliera. E questo il filone che le Regioni dovranno aggredire per realizzare buona parte degli 1,5 miliardi di euro di tagli sul Fondo per la salute fissato per il 2015 a quota 110 miliardi.
«La spesa farmaceutica non credo che in Italia sia ottimizzata, ce n’è comunque troppa», ha ammesso il leader dei governatori Sergio Chiamparino che, insieme ai colleghi degli enti locali, ha in mente un piano per ridurre gli sprechi in questo settore.
Sono gli ospedali il cuore del problema. La legge fissa un limite del 3,5% di spesa rispetto al budget del Servizio sanitario. Ma, nonostante il contenimento operato negli ultimi anni, il flusso continua ad essere eccessivo a causa di sprechi.
Secondo fonti vicine a questo delicato dossier, governo e Regioni ipotizzano una ulteriore riduzione di 300 milioni nel 2015 attraverso una serie di operazioni. Vale a dire, in particolare, una ricontrattazione degli accordi, anche quelli in essere, con le case farmaceutiche. Alla quale si aggiungerà una negoziazione, su basi fortemente ridotte, dei contratti scaduti.
Sono previste inoltre misure di contenimento generale che dovrebbero essere fissate entro fine anno in un maxi emendamento alla legge di Stabilità. Per quanto riguarda invece la spesa farmaceutica ospedaliera, secondo i dati dell’Alfa, nei primi sei mesi del 2014, le uscite continuano a restare ampiamente al di sopra del tet to programmato del 3,5%, attestandosi al 4,77% del Fondo sanitario, con uno sforamento che, a metà anno, è già oltre 747 milioni di euro.
Sono solo due le Regioni in Italia che nel periodo gennaio-giugno 2014 sono riuscite a rimanere al di sotto del tetto programmato del 3,5% sul Fondo sanitario, e si tratta della Valle d’Aosta (2,9%) e della Pa di Trento (3,0%). Tra le ipotesi in campo per ridurre la spesa c’è anche quella dell’applicazione rigorosa dei costi standard. «Esiste il problema degli acquisti: così come la siringa, anche la pillola deve costare in modo più o meno compatibile da tutte le parti» ha esemplificato ancora Chiamparino. (Michele Di Branco – Il Messaggero)
Senato, si stringe la partita sui tagli. Se 4 miliardi vi sembran pochi
Barbara Gobbi (Il Sole 24 Ore sanità). Ha parlato di un «avvicinamento reciproco», il presidente dei governatori Sergio Chiamparino, all’indomani dell’incontro con il Governo in cui, mercoledì scorso, si è accelerato sulla trattativa in merito ai tagli da 4 miliardi chiesti dal premier Matteo Renzi alle Regioni. L’ipotesi più soft si aggira su 1,5 miliardi (ma anche 1,8-1,9?), che andrebbero decurtati dai due miliardi di aumento del Fondo sanitario nazionale per il 2015, scritti nel Patto e benedetti dall’articolo 39 della legge di Stabilità che entrerà nel vivo la prossima settimana per approdare in aula martedì 16 dicembre. Ma più ci si addentra nel braccio di ferro, più appare chiaro che il grosso della partita si giocherà all’esterno e al di sopra dell’aula del Senato. Dove malgrado i tempi strettissimi non mancheranno, per il resto, i toni accesi. Motivati da “polpette avvelenate” per il Ssn, come la proroga del blocco del turnover fino al 2020, denunciata dali’Anaao.
Ma torniamo alla partita dei maxi-tagli. Chiamparino vede il bicchiere mezzo pieno: «Abbiamo convenuto – ha spiegato – che le Regioni si facciano carico per 1,5 miliardi non toccando i Livelli essenziali di assistenza e intervenendo sugli aspetti organizzativi e sul controllo della spesa farmaceutica». Inevitabili le reazioni: da Farmindustria – «la spesa farmaceutica pro capite in Italia è inferiore del 27%» ha ricordato il presidente Massimo Scaccabarozzi, fino ai governatori del Nord come il Veneto Luca Zaia, secondo cui «ogni ulteriore taglio alla sanità comporterebbe un immediato ricorso alle barricate».
E malgrado Chiamparino garantisca che dal Governo arriverà almeno la contropartita di 1,1 miliardi l’anno per investimenti in edilizia sanitaria (3,3 miliardi in tre anni), la sensazione è che la posta chiesta alle Regioni sia ben più alta. Intanto, in conto vanno messi anche quegli 1,6 miliardi di tagli che gravano ancora per effetto delle spending review precedenti. Poi è chiaro che se il Governo continuerà a tenere il punto sui 4 miliardi da depennare, difficilmente la sanità potrà cavarsela con una decurtazione minima sul 2015. Una voce che pesa fino ail’80% sui bilanci regionali, inevitabilmente comporterà molto più di un ritocco per i presidenti delle Regioni. Che malgrado le rassicurazioni appaiono decisamente preoccupati: basta leggere il documento approvato dalla Conferenza delle Regioni, da consegnare alla commissione Igiene e Sanità del Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Ssn.
La premessa è che senza un adeguato finanziamento per il Servizio sanitario nazionale si prefigurerebbe «un autentico stato di default». Tra i punti forti del testo, la sostenibilità e l’universalità del Ssn ma anche una governance potenziata e la revisione del numero delle aziende sanitarie in un’ottica di razionalizzazione e di efficienza. Direzioni verso cui le Regioni si stanno muovendo ma che non sono in grado di tappare buchi nell’immediato. Quel che è certo è che il Patto per la salute rischia di diventare carta straccia. E altrettanto certo è che, a differenza del clima che si respirava a luglio scorso quando il Patto fu firmato, questa volta la ministra della Salute ha abbandonato il ruolo di paladina delle Regioni. Che, virtuose o “canaglie” che siano, dovranno far da sé e tagliare, tagliare, tagliare.
10 dicembre 2014