La decisione di Renzi di fissare il rapporto deficit-Pil del prossimo anno al 2,3 (e, se riuscirà ad ottenere da Bruxelles il via libera, al 2,4) rende meno complicata la strada del governo, ma prepariamoci ugualmente a stringere la cinta per circa 7 miliardi: dalla sanità, ai beni e servizi, alle partecipate. Risorse anche da nuove entrate come il rientro dei capitali-bis, la lotta all’evasione dell’Iva, giochi e frequenze.
Il Consiglio dei ministri previsto per oggi si occuperà di referendum: slitta dunque a domani la riunione per l’aggiornamento del Def. Intanto si rifanno i conti: i nuovi margini dovuti alle circostanze eccezionali (terremoto, migranti e minore crescita) ci consentiranno di sterilizzare l’aumento dell’Iva e di scongiurarlo definitivamente (il valore è 0,9 del Pil circa 15 miliardi). A scanso di equivoci il governo non molla la presa su Bruxelles: la flessibilità «ce la siamo guadagnata perché abbiamo fatto riforme e investimenti » ed è «sbagliato» non prolungarla nel tempo, ha detto il ministro per lo Sviluppo Calenda a L’intervista di Sky Tg24.
Sostanzialmente la questione dell’Iva sarà risolta aumentando il deficit e spostando il livello del fatidico rapporto con il Pil al 2,3-2,4 per cento: in questo modo si coprirà completamente la differenza con il vecchio deficit tendenziale dell’aprile scorso (1,4-1,5 per cento: rapporto così basso perché dava per effettuato il pericoloso aumento dell’Iva di 2 punti) e superando di slancio l’1,8 programmatico che aveva già avuto un mezzo via libera da Bruxelles. Insomma per evitare l’aumento dell’Iva non dobbiamo fare tagli ma ci basta aumentare il deficit.
La boccata di respiro c’è, necessaria per rilanciare la nostra economia, ma per arrivare ai 22-24 miliardi di manovra lorda (cioè il mancato aumento dell’Iva per 15 miliardi coperto con la nuova flessibilità più i 7-8 di nuovi interventi sull’economia) restano da trovare ancora nuove risorse. Si tratta infatti di finanziare le misure sulle pensioni, i contratti degli statali, povertà, Industria 4.0 (superammortamento, imposta unica per le società di persone, salario di produttività), ecobonus e interventi sui condomini, bonus scuola-bis, investimenti, terremoto. Dunque la “nuova flessibilità” o comunque la decisione di portare l’asticella del deficit più in alto non basterà e si dovrà mettere mano alle forbici, operazione che tuttavia potrà essere indicata solo sommariamente nell’imminente “nota“ al Def e che sarà contenuta nella legge di Bilancio che potrà arrivare in Parlamento entro un paio di settimane.
La caccia ai 7-8 miliardi è aperta da tempo, ma stando alle ultime indicazioni il menù si starebbe focalizzando. Non è affatto escluso il taglio, o aumento ridotto, al fondo sanitario nazionale pari ad un miliardo. Il complesso della spending review resta ben saldo anche se la cifra dovrebbe assestarsi intorno ai 2 miliardi tra operazione tradizionale sull’acquisto di beni e servizi e ed altri risparmi cui vanno aggiunti 500 milioni dalla chiusura delle società partecipate. Il resto verrà da maggiori entrate: la prima misura in ballo è la voluntary disclosure- bis per la quale si stimano 1,5 miliardi di gettito sulla base di una ipotesi di capitali da recuperare fino a 30 miliardi. L’altra posta sulla quale conta molto il governo è il cosiddetto split payment, una norma che consente da circa un anno all’amministrazione pubblica di trattenere l’Iva dei fornitori assicurando un versamento sicuro e integrale: il gettito sarebbe maggiore del previsto e potrebbe essere cifrato in 1,5 miliardi. Il resto verrà da interventi fiscali sui giochi e dalle frequenze per circa 500 milioni.
Repubblica – 26 settembre 2016