Dopo una brevissima parentesi, durata appena tre anni, torna a sventolare su Padova il vessillo del centrosinistra. Sergio Giordani, l’imprenditore ed ex presidente del Calcio Padova sceso in campo con i colori del Partito democratico, batte col 51,84% Massimo Bitonci, sindaco uscente della Lega Nord defenestrato a novembre dalla sua maggioranza e rimasto inchiodato ieri sera al 48,16%.
La città del Santo veniva data alla vigilia dal Pd, con L’Aquila e Parma, come una delle piazze chiave per potersi dire «comunque soddisfatti» da questa tornata elettorale, a maggior ragione se fosse caduta Genova. Missione compiuta per il solo Giordani, riuscito nell’impresa di ribaltare il risultato del primo turno (inseguiva col 29% il 40% di Bitonci) e vanificare lo sforzo dell’intera catena di comando del Carroccio, da Salvini a Zaia, scesa più volte in città per sostenere il suo alfiere deciso a risalire a Palazzo Moroni senza più quella che veniva definita la «zavorra dei traditori».
Dopo tre anni di litigi e prove muscolari, ora col prefetto, ora con la diocesi, i padovani si sono lasciati conquistare dalla «forza tranquilla» di Giordani, che in campagna elettorale ha contrapposto la sua figura mite e di mediazione («Il buonsenso, finalmente» tra gli slogan prediletti) al decisionismo fumantino di Bitonci, che ha sempre fatto dell’uomo solo al comando la sua caratteristica vincente — in ventitré anni non aveva mai perso un’elezione, questa è per lui una mestissima prima volta —, e ancora la sua «padovanità», impreziosita dall’essere stato il presidente dei biancoscudati nell’anno della storica promozione in Serie A, alle origini cittadellesi di Bitonci, che ha sempre rifiutato il trasloco della famiglia nel capoluogo (e per questo, ieri, non ha votato).
A dare il decisivo colpo di reni, aiutando a superare le difficoltà seguite all’ischemia che aveva colpito Giordani durante un comizio a maggio, è stato però l’apparentamento chiuso col professore dell’università di Padova Arturo Lorenzoni, che si alzò dal tavolo del centrosinistra quando il Partito democratico rifiutò di fare le primarie e con la sua «Coalizione civica» ha raggiunto due settimane fa un inaspettato 22%.
Al momento decisivo, nonostante le perplessità di qualche supporter, troppo forte è stata per Lorenzoni (che sarà vicesindaco) la tentazione di agguantare il cambiamento che si profilava all’orizzonte. «Qui gridano tutti “Padova libera!” ma non esageriamo — ha detto Giordani —. Padova è sempre stata libera, soltanto c’è stato qualche eccesso di troppo. Io sono felice e sereno e quando mi ha chiamato Renzi per complimentarsi, e mi ha detto che dovrebbero clonarmi in giro per l’Italia, io gli ho risposto: già, un po’ più di tranquillità non farebbe male».
Laconica l’uscita di scena di Bitonci: «Sette mesi e mezzo di campagna elettorale sono stati troppo lunghi, vedremo come se la caverà adesso questa maggioranza, con gente che va dal centrodestra alla sinistra».
Verona, finisce l’era Tosi: vince Sboarina battuta Bisinella Belluno, Massaro bis
In una giornata funestata dal maltempo e dominata dalla notizia del varo del decreto sulle banche venete, nella notte si sono decise le sfide nei dieci Comuni chiamati al ballottaggio dopo il primo round di due settimane fa.
A Verona si chiude dopo dieci l’era di Flavio Tosi, l’uomo che abbandonò il potente assessorato regionale alla Sanità per occuparsi della sua città, segnandone un’epoca, dominus capace di giocare da protagonista in campo amministrativo, politico (ben oltre i confini comunali) ed economico (non va dimenticato che è il presidente dell’autostrada A4 Brescia-Padova). Il referendum su di lui, perché di questo a ben vedere si è trattato, si è chiuso con una sconfitta dai toni inequivocabili: Patrizia Bisinella, la sua compagna, scesa in pista con qualche malumore della squadra a capo di un rassemblement civico, si ferma al 41,86%, ampiamente superata dall’avvocato Federico Sboarina, che viaggia al 58,14% col sostegno, oltre che della sua civica, di tutto il centrodestra unito (almeno quanto ai simboli): Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia. Bravo e fortunato Sboarina, che si è trovato al punto giusto al momento giusto, «terzo comodo» spuntato tra i litiganti Lega e Forza Italia che dopo aver fatto un passo indietro (della serie: rinuncia tu e rinuncio io) gli hanno permesso di godere della vittoria. «I veronesi hanno votato con il cuore – ha commentato tra gli abbracci – e questa è per me una grandissima soddisfazione, mi riempie di orgoglio. Siamo un laboratorio, conquisteremo la fiducia di tutti e mi piacerebbe che su alcuni traguardi importanti maggioranza e opposizione potessero confrontarsi senza pregiudizi».
A 27 anni dal celeberrimo «Re Lele», uno Sboarina torna a sedere sullo scranno più alto di Palazzo Barbieri ma quel tutti si chiedono adesso è che farà Flavio Tosi: dopo quella che è stata comunque un’impresa insperata, arrivare al ballottaggio superando la candidata del Pd, dovrà ripartire là dove tutto era cominciato, dai banchi del consiglio comunale, ma è difficile pensare che la sua avventura possa chiudersi qui. Si candiderà al parlamento in primavera? Oppure aspetterà l’occasione che forse più ne solletica le ambizioni, ritentare la sfida a Zaia nel 2020, magari come leader di un larghissimo centro-sinistra? Di certo l’intesa con Matteo Renzi è forte ma proprio a tal proposito resta il dubbio che l’endorsement della vigilia del segretario del Pd abbia fatto più male che bene a Bisinella: a vedere l’affluenza (42% contro il 58% del primo turno, mai così poca gente aveva votato alle Comunali a Verona), i dem non hanno rispettato l’ordine di scuderia – votare contro la Lega, turandosi il naso e sostenendo l’uomo che hanno combattuto per dieci anni – e hanno preferito starsene a casa. Di contro, il sostegno di Renzi potrebbe aver convinto qualche pentastellato a tornare ai seggi, per il puro gusto di tirare uno schiaffo all’odiato Matteo. E difatti Tosi, che non ha mai mancato di lucidità anche nei momenti più difficili, conferma: «Ci aspettavamo un appoggio maggiore dal Pd ma li capisco, dopo tanti anni contro di me non era facile». Fair play e sorrisi per Bisinella, nonostante il compleanno amaro: «Complimenti a Sboarina (che, per inciso, fu assessore nella prima giunta Tosi, ndr .) gli lasciamo una città vitale, cresciuta, con un bilancio a posto». Che faranno ora lei e Flavio? «Continueremo ad occuparci della città stando all’opposizione».
Oltre a Padova, di cui avete potuto leggere nelle pagine precedenti, l’altro capoluogo al voto era Belluno, dove il secondo turno si è chiuso all’insegna della continuità. Il sindaco uscente Jacopo Massaro, ex Pd, renziano della primissima ora, poi uscito dal partito ed ora civico di centrosinistra, si è imposto con un inequivocabile col 63,15%. Nulla da fare, dunque, per il tentativo di rimonta dell’assicuratore Paolo Gamba, civico pure lui (per quanto sostenuto fin dal principio da Forza Italia e al secondo turno dalla Lega Nord), fermo al 36,85%. La strada, per lui, era apparsa d’altronde in salita fin dal principio. Due i dati su cui riflettere all’ombra delle Dolomiti: l’astensione a livelli record, con un’affluenza che dopo il 50% del primo turno è scesa di altri dieci punti, arrancando al 40%, e l’ormai cronica difficoltà del centrodestra, che già aveva perso al primo turno a Feltre, senza troppo impensierire il centrosinistra e che deve ricostruire il perimetro di un’area politica ormai priva di cittadinanza (come dimostra anche la recente battaglia contro la Regione per poter indire un referendum sull’autonomia: Belluno libera dal Veneto che vorrebbe essere libero dall’Italia).
Infine, i risultati negli altri Comuni: a Mira, dopo i cinque anni di amministrazione targati Movimento Cinque Stelle, vince Marco Dori (centrosinistra), a Marcon Matteo Romanello (Lega), a Jesolo Valerio Zoggia (che si conferma alla guida della Grandissima Coalizione Fi più Pd, con una certa rabbia della Lega), a Mirano torna in sella la presente dell’Anci Maria Rosa Pavanello (centrosinistra), ad Abano Terme, messa all’angolo dall’arresto del sindaco Luca Claudio che per anni ha dominato la scena politica locale, vince Federico Barbierato (centrosinistra), a Vigonza Stefano Marangon (centrodestra) e a Cerea Marco Franzoni (Lega).
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 26 giugno 2017