Possiamo accettare, due decenni dopo la riforma Dini, che un deputato regionale di 50 anni, l’età di Brad Pitt e Monica Bellucci, vada in pensione dopo una legislatura monca d’un triennio, prendendo il doppio di un operaio inchiodato 42 anni e un mese in fabbrica? È un insulto. E non ci si dica che «cosa fatta capo ha» perché si tratta di «diritti acquisiti», sacri e intoccabili come la mandibola di San Teodoro.
Sono anni che, strattonata dalla collera popolare, la politica giura d’essersi messa a dieta. E poi salta fuori che, mentre avevano tutti gli occhi addosso per le bravate di Franco «Batman» Fiorito & Co., al Consiglio regionale del Lazio, grazie a un cavillo maligno passato in Parlamento, han lasciato tutto come prima. Ignorando il decreto Monti che vietava i vitalizi prima dei 66 anni e con meno di due legislature.
Dice Confindustria che la crisi ha avuto effetti «paragonabili a danni di guerra». Che il Pil nazionale è crollato del 9,1%. La ricchezza pro capite dell’11,5%. La produzione del 24,6%. Gli investimenti del 27,7%. Bene: in questo contesto, 18 anni dopo la riforma delle pensioni che stravolse la vita di milioni di persone, i consiglieri laziali mandati a casa dagli scandali che avevano mozzato la legislatura hanno incassato nel 2013 (oltre alla «liquidazione») pensioni stratosferiche rispetto ai contributi pagati.
Per avere il vitalizio a 50 anni l’ex assessore Marco Mattei versò in tutto 60 mila euro. Dalla fine di ottobre 2013 ne prende 2.467 netti al mese: dal novembre 2015 sarà dunque, vita natural durante, a carico delle pubbliche casse. E se vivrà come un italiano medio (79,5 anni: auguri) riscuoterà, grazie a un aumento al 55° compleanno, 1.084.988 euro: 18 volte quanto versato. I cittadini si sono trovati alle prese con la «quota 102» (60 anni d’età e 42 di lavoro) o «quota 104»? Lui fa marameo da «quota 55». A Isabella Rauti Alemanno andrà ancora meglio. Per riprendersi i contributi pagati le basteranno 23 mesi e con l’aspettativa di vita delle donne (84,5 anni: auguri bis) prenderà 1.128.198 euro. Diciannove volte il versato. Quanto a Lilia D’Ottavi, subentrata a legislatura in corso, ha la pensione dopo esser rimasta in Consiglio un anno: neanche investire in cocaina le avrebbe fruttato di più. Ma è tutto il sistema vitalizi del Lazio a essere impazzito: per ogni euro versato, ne escono 48.
Tema: come possono i cittadini, esposti da anni a tagli che hanno intaccato pesantemente quelli che credevano fossero «diritti acquisiti» (si pensi agli esodati) rassegnarsi ora alla intoccabilità di quei trattamenti squilibrati e così offensivi nei loro confronti? Per questo, se vogliono fare pace con gli italiani, quanti hanno responsabilità di governo, nei partiti, nelle Regioni, devono farsi carico di una svolta. Subito. Non solo non deve succedere mai più. Ma è ora di andare a toccare, quando sono spropositati (si pensi ai casi citati o a certe pensioni di 91.337 euro al mese) anche quei privilegi che qualcuno vorrebbe sacrali. È una scelta politica. Ma la stessa Corte dei conti ha già detto: non è un dogma. E così la Corte costituzionale, la quale nel 1999 riconobbe che al legislatore «non è inibito emanare norme con efficacia retroattiva» purché «la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza». E cosa c’è di più ragionevole, in questi anni di crisi, che abolire un’offensiva ingiustizia?
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella – Il Corriere della Sera – 20 gennaio 2014