di Luigi Oliveri, ItaliaOggi. Il demansionamento previsto dal terzo decreto attuativo della legge 183/2014 (Jobs act) si applica anche al lavoro pubblico, pur se con diversi problemi. Come per la modifica alla disciplina dei licenziamenti individuali, anche la modifica implicita all’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori, pone il problema della sua estendibilità anche ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Probabilmente il governo, per coerenza con quanto sin qui dichiarato in merito agli effetti delle modifiche all’articolo 18 sul lavoro pubblico, affermerà che le modifiche alla disciplina delle mansioni non valgano per il settore pubblico. Tuttavia, finché non si dimostri che le dichiarazioni e i comunicati stampa non assurgono a fonti di diritto, le disposizioni normative vigenti stabiliscono altro. Tali disposizioni sono due, molto precise e si ritrovano nel dlgs 165/2001, cioè il testo unico sul lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
La prima è l’articolo 2, comma 2, ai sensi del quale «i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperative». Poiché l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori regola il contenuto dell’artìcolo 2013 del codice civile, ogni modifica a queste disposizioni influisce direttamente sulla disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato.
Ne dà conferma la seconda disposizione del dlgs 165/2001, l’articolo 51, comma 2, a mente del quale «la legge 20 maggio 1970, n.300, e successive modificazioni e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti». Ogni modifica, dunque, allo Statuto dei lavoratori, dispone la legge di disciplina del lavoro pubblico, si riverbera automaticamente sul rapporto di lavoro pubblico.
Non vi sono, per altro, disposizioni normative derogatorie alla disciplina del demansionamento, tali da far ritenere che nel lavoro pubblico possano vigere regole differenti. In effetti, l’articolo 52 del digs 165/2001 disciplina in via particolare solo l’attribuzione delle mansioni superiori, per altro in modo da vietare che, nel lavoro pubblico, lo svolgimento di mansioni superiori oltre il termine fissato comporti l’acquisizione automatica del livello superiore, come avviene nel privato.
Esiste, poi, una disciplina del demansionamento, reperibile nell’articolo 34, comma 4, sempre del dlgs 165/2001, ma con un fine del tutto diverso da quello previsto dal terzo decreto attuatìvo del Jobs act. Questo, infatti, consente il demansionamento «in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore». L’articolo 34, comma 4, citato, invece si applica ai dipendenti pubblici in esubero ed inseriti nelle liste di disponibilità, per facilitare l’assunzione in mobilità presso enti, appunto accettando di scendere di una categoria di inquadramento, con effetti sullo stipendio, che, invece, in teoria il Jobs act non prevede.
Se, allora, il quadro normativo indica che la disciplina del demansionamento si estende alla pubblica amministrazione, sicché per evitarlo occorrerebbe una legge di modifica degli articoli 2, comma 2, e 51, comma 2, del digs 165/2001, si debbono evidenziare i problemi operativi che deriverebbero dall’applicazione della norma approvata dal Consiglio dei ministri. Essa, infatti, mira a mantenere intatto il livello retributivo, pur in presenza di mansioni inferiori. Applicare simile regola nel lavoro pubblico può rivelarsi non così semplice, perché occorrerebbe dimostrare alla Corte dei contì o altri organi di controllo di ben operare la ben operare la gestione del denaro pubblico, continuando a pagare a un lavoratore un certo tipo di trattamento economico, chiedendogli però di svolgere un lavoro proprio di una categoria professionale inferiore.
È vero che questo potrebbe determinare l’abbassamento del salario accessorio legato in particolare ai risultati connessi proprio ai progetti di produttività a loro volta connessi con la qualità delle mansioni prestate, tuttavia si potrebbe trattare di risparmi non molto significativi, tali da non giustificare il demansionamento sul piano strettamento finanziario.
ItaliaOggi – 27 febbraio 2015