«Non voglio controllori a Palazzo Chigi». Una dichiarazione d’intenti che Paolo Gentiloni ha dovuto conciliare con il principio di realtà, ovvero l’idea renziana di un governo a tempo, «di una legge elettorale che non si farà mai», delle elezioni a giugno, di un ricambio giocoforza limitato al minimo visto che la squadra deve durare lo spazio di un mattino, pochi mesi. E la lealtà al segretario. I margini erano stretti e in queste condizioni Gentiloni ha affrontato la complicata partita del “Giglio magico” di Matteo Renzi: il destino dei fedelissimi Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Risultato? Sono rimasti tutt’e due. Si direbbe un deciso passo indietro da parte di chi non intende essere “commissariato”.
Ma Lotti, il più “politico” della coppia, il più abile nelle trame di potere, il più vicino al segretario Pd, sarà lontano dalla sede del governo. Il nuovo ruolo gli permetterà di dare una mano a Renzi per il congresso e per la campagna elettorale. Un compromesso accettabile. Il prezzo da pagare per marcare questa distanza però è stato salvare Boschi, anzi liberare per lei la casella importante di sottosegretario a Palazzo Chigi. Ha deciso il neopresidente del Consiglio, con realismo. Gentiloni ha chiesto alla madrina della riforma sonoramente bocciata al referendum di affiancarlo nell’azione di governo. E ne ha fatto la «numero due» dell’esecutivo, come dicono i fan di Boschi. Una promozione, addirittura.
Il Quirinale non ha fatto osservazioni. Tocca al premier scegliersi direttamente il suo collaboratore più stretto. Semmai, in qualche colloquio, si è lasciato capire che con la Boschi a Palazzo Chigi sarà più difficile, per Renzi, “bombardare” il quartier generale. Ma il rapporto Boschi-Renzi, sebbene meno solido di un tempo, è difficile da scalfire.
L’ex ministra delle Riforme aveva giurato, parlando con Lucia Annunziata, «torno a casa anch’io se vince il No, la mia esperienza politica è finita». Invece, è accaduto il contrario. Certo, non sarà in prima fila. Il sottosegretario alla presidenza non va in tv, se non rare volte, non concede interviste, non fa politica. Ha un peso, ma nel chiuso delle sue stanze. «Lei è voluta rimanere a tutti i costi», dicono le voci del Palazzo. Ma è altrettanto vero che è stato Gentiloni a proporglielo.
Con Lotti è andata così. Il premier ha fatto presente che senza di lui e la Boschi, il renzismo non avrebbe avuto un solo rappresentante in consiglio dei ministri. Gli altri rispondono alle logiche delle loro correnti, sono renziani dell’ultima ora. Il braccio destro di Renzi dunque doveva diventare ministro, capodelegazione renziano nel governo, avere potere di voto in consiglio, anche quando si parlerà di nomine. La linea politica di Renzi lo avrà come portavoce. La storia della delega ai servizi non è mai esistita, spiegano i lottiani. Comunque Gentiloni non l’avrebbe mollata. La prenderà lui.
Si fa notare che Boschi aveva tre deleghe come ministro (riforme, rapporti col Parlamento, pari opportunità) mentre ora è “condannata” all’invisibilità di chi smazza dossier e decreti. Ma che i boschiani la indichino come numero due dell’esecutivo significa che la sua conferma suona come un’ascesa. Indigeribile per molti, lo dimostrano le critiche sui social. Ma è evidentemente non evitabile per un governo che nasce in assoluta continuità con il precedente. «Io non ho fatto pressioni in nessun verso», assicura la neosottosegretario. Che però è soddisfatta. «Farò quello per cui sono portata: un lavoro sui provvedimenti». Gentiloni la stima. Viene considerata precisa e determinata quanto basta per gestire il traffico dei dossier. Il segretario generale di Palazzo Chigi Paolo Aquilanti è stato un suo stretto collaboratore alle Riforme. È anzi il vero autore della legge bocciata due domeniche fa. E i motivi di opportunità? E le promesse di un tempo? Renzi esce, la Boschi rimane. E il Giglio magico non appassisce. Almeno in partenza, il governo Gentiloni conferma che il suo king maker è uno solo: il segretario del Pd.
Repubblica – 13 dicembre 2016