Non basta. Dopo mille resistenze, la politica regionale ha appena cominciato ad applicare la dieta dimagrante a indennità e rimborsi introdotta dal Governo Monti nell’autunno del 2012, ma è già ora di ricominciare.
Inchieste e scandali non danno tregua, il tema è di sicuro successo per l’immagine di chi lo affronta e il Governo Renzi torna all’attacco con un principio semplice semplice: presidenti e consiglieri dovranno «in ogni caso» accontentarsi della “busta paga” che arriva al sindaco del capoluogo della loro Regione. Un principio che il Governo vuole addirittura inserire in Costituzione, con il disegno di legge che dovrebbe partire questa settimana dopo la fase di consultazione e che riforma il federalismo all’italiana trasformando il Senato in Camera delle Autonomie.
Il principio è semplice, ma gli effetti potrebbero essere dirompenti. Dopo anni di “autonomia spinta”, che avevano portato qualche consiglio regionale a offrire indennità anche superiori a quelle previste da Camera e Senato, le nuove regole prevedono un tetto massimo uguale per tutti: 13.800 euro lordi al mese per il presidente, e 11.100 per i pochi consiglieri “semplici”, cioè quelli che non hanno sulla giacca stellette da capogruppo, presidente o vicepresidente dell’assemblea, questore e così via. Alla dote si aggiugnono i fondi ai gruppi politici, che valgono 5mila euro annui a consigliere e fanno risparmiare una quarantina di milioni rispetto ai vecchi rimborsi liberi modello Fiorito. Il risultato effettivo dipende da molte variabili, perché è sufficiente abbassare le indennità (tassate con l’Irpef) e aumentare i rimborsi (esentasse) e il netto in busta lievita, ma un dato è certo: se il Governo riuscirà nell’impresa, l’ancoraggio alle indennità del sindaco taglierà in modo drastico i compensi in Regione. Perché i sindaci dei capoluoghi hanno in genere più rogne di un consigliere regionale, specie se di opposizione, ma la piramide delle indennità è rimasta finora più fedele alla gerarchia del potere che a quella delle responsabilità.
Gli effetti potenziali della nuova regola immaginata dal Governo cambiano naturalmente da Regione a Regione, e tutto dipenderebbe dal peso del Comune capoluogo. Anche nel Lazio, che con la Capitale “ospita” ovviamente il Comune più importante d’Italia, la nuova tagliola promette faville: oggi il sindaco di Roma Ignazio Marino guadagna 9.763 euro lordi al mese (dati del Comune, relativi al secondo semestre 2013), cioè il 41% in meno dei 13.800 euro che spettano al presidente della Regione, Nicola Zingaretti. Le indennità di carica (7.600 euro) e di funzione (2.700 euro) arriverebbero solo a quota 10.300 euro, ma il tetto disegnato dal progetto di riforma costituzionale comprende tutti gli «emolumenti complessivamente spettanti» e quindi non dovrebbe trascurare i 3.500 euro di rimborsi. Sulla carta, la prospettiva sembra meno preoccupante per gli assessori regionali, che tra indennità e rimborsi arrivano a 11.100 euro al mese e quindi sforano solo del 13,7% lo stipendio del Campidoglio: è ovvio però che difficilmente si può ipotizzare un trattamento economico identico dal presidente all’ultimo consigliere, per cui la sforbiciata alla busta paga del Governatore dovrebbe schiacciare in modo più o meno proporzionale anche quelle degli altri politici.
Lontano dalla Capitale, gli effetti si fanno più pesanti man mano che i capoluoghi diventano più piccoli e per capirlo basta scorrere le indennità massime dei sindaci, che sono ancora quelle scritte in un decreto ministeriale dell’aprile 2000 (il Dm 119/2000) e che ovviamente rappresentano i termini di paragone al di là delle variabili locali. In Molise, Campobasso ha poco meno di 50mila abitanti e, essendo un capoluogo, misura le proprie indennità su quelle previste per la fascia demografica appena superiore. In pratica, siamo poco sopra i 4mila euro al mese, cioè meno di un terzo rispetto ai 13.500 riconosciuti oggi al presidente di Regione Paolo Di Laura Frattura e sotto la metà dei 10.500 euro che arrivano ogni mese ai consiglieri sotto forma di indennità e rimborsi spese. Un bel salto, che se le nuove regole arriveranno al traguardo dell’approvazione si ripeterà in tutte le Regioni e soprattutto in quelle caratterizzate da capoluoghi più “leggeri” come la Basilicata (Potenza ha 66mila abitanti) o l’Abruzzo (l’Aquila ne conta 73mila).
Il taglio insomma si prospetta drastico, anche se da qui non potrà arrivare molto dei due miliardi di risparmi sui costi della politica attesi dalla spending review di Cottarelli. Il dividendo, come detto all’inizio, è più in termini d’immagine, ma la partita dell’attuazione non si presenta semplice. I limiti attuali (in euro lordi al mese) per gli emolumenti delle Regioni e quelli previsti per i Comuni a seconda delle fasce demografiche. Il riferimento è ai parametri fissati dal Dm 119/2000, dal momento che l’equiparazione non potrebbe considerare le variabili locali
Il Sole 24 Ore – 24 marzo 2014