Accolto il ricorso presentato da alcune aziende farmaceutiche contro una delibera del Lazio che limitava la prescrizione di farmaci branded appartenenti ad alcune categorie terapeutiche ad alto consumo (betabloccanti, calcioantagonisti, Ace inibitori, anticolesterolo, ecc) quando esistano farmaci generici anche se con principi attivi ovviamente diversi.
Per i giudici la Regione non può legiferare in questo ambito che è di competenza bipartita “Stato-Regioni”. “L’attività di prescrizione dei farmaci appartiene alla competenza bipartita Stato – Regioni” e “spetta al medico la scelta in ordine al principio attivo da somministrare al paziente”. Così si è pronunciato il Tar del Lazio che ha accolto il ricorso presentato da alcune aziende farmaceutiche contro la delibera della Regione Lazio recante “Modifiche ed integrazioni alla DGR del 28 dicembre 2007, n. 1057 – Appropriatezza prescrittiva ed incremento dell’utilizzo dei farmaci di cui è scaduta la copertura brevettuale” n. 232 del 29 marzo 2008, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 17 del 7 maggio 2008.
Con quella delibera la Regione Lazio decise di aggredire i consumi particolarmente elevati di alcune categorie di farmaci (betabloccanti, calcioantagonisti, Ace inibitori, anticolesterolo, ecc) inserendoli in un apposito elenco (nella delibera indicato come TABELLA A) e prevedendo che, in caso di prescrizione da parte del medico di farmaci protetti ancora da brevetto appartenenenti a tali categorie pur in presenza di altri farmaci della stessa categoria a brevetto scaduto, il medico dovesse specificare sulla ricetta il motivo di tale scelta utilizzando un apposito codice per indicare la causale (documentata intollerenza, allergia, interazione con altri farmaci, inefficacia documentata dei farmaci a brevetto scaduto, ecc.).
Per la Regione risparmi stimati di oltre 30 milioni annui. Scopo di quella delibera, come è ovvio, era principalmente l’incentivazione alla prescrizione del generico appartenente alle stesse categorie terapeuticche della TABELLA A, con un risparmio calcolato dalla Regione in più di 30milioni di euro annui.
Ma per i giudici laziali quella delibera va oltre i poteri regionali. In prima analisi infatti il Tar ha chiarito che l’attività di prescrizione dei farmaci non può essere di competenza di una singola regione. “L’attività di prescrizione dei farmaci appartiene alla competenza bipartita Stato – Regioni. E la fissazione dei limiti e dei criteri che devono guidare il medico nella scelta del farmaco, che meglio risponda alle esigenze terapeutiche del singolo caso, non può che appartenere ai principi fondamentali da stabilire con legge statale, trattandosi di uno dei casi in cui occorre assicurare uniformità di trattamento nei diritti a livello nazionale, incidendo i criteri di prescrizione sul principio di libera scelta del farmaco da parte del medico quale aspetto del diritto alla salute riconosciuto dall’art. 32 della Costituzione”.
Nel merito poi, secondo i giudici, la delibera nel disporre che “Tutti i medici che prescrivono a carico del Servizio sanitario regionale medicinali coperti da brevetto appartenenti alle classi farmacologiche indicate nella Tabella A, appresso riportata, che verrà aggiornata secondo le modalità indicate nella Determinazione Dirigenziale di cui al punto D del presente provvedimento, indicano volontariamente un codice di valorizzazione, attenendosi alle note AIFA e alle indicazioni autorizzate in scheda tecnica per assicurare l’appropriatezza nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dalla Regione”, viene ad introdurre disposizioni che limitano la scelta del medico di prescrivere la terapia migliore per il paziente, relegando importanti specialità medicinali già presenti in classe “A” del prontuario a mere scelte residuali”.
Quindi per il Tar, la Regione, oltre ad aver disciplinato su una materia non di sua competenza “ha imposto delle prescrizioni che hanno come effetto la limitazione (o, comunque, il condizionamento) della libertà del medico di scegliere il farmaco da prescrivere al proprio paziente”.
“In piena sintonia con le coordinate così tracciate – ricorda il Tar – si pone, del resto, la previsione di cui all’art. 15, comma 11-bis, del D.L. n. 95/2012, a tenore del quale “Il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, è tenuto ad indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco”. La richiamata disposizione non può che implicare la vigenza del principio generale secondo il quale spetta al medico la scelta in ordine al principio attivo da somministrare al paziente”.
E in senso analogo, scrivono ancora i giudici laziali, deve essere letta anche la norma contenuta nell’art. 11, comma 12, del D. L. n. 1/2012, ai sensi della quale, ricorda il Tar, “Il medico, nel prescrivere un farmaco, è tenuto, sulla base della sua specifica competenza professionale, ad informare il paziente dell’eventuale presenza in commercio di medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio e dosaggio unitario uguali”.
La sentenza del Tar Lazio
Delibera Regione Lazio
Luciano Fassari – Quotidiano sanità – 19 dicembre 2015