Si potrebbe raccontare come una beffarda ritorsione del destino o come la “vendetta” di Matteo Renzi. Fatto sta che proprio l’aver contribuito a bocciare nel 2016 il referendum sulla riforma costituzionale dell’ex premier, espone adesso i Cinque Stelle al rischio di veder bocciato dalla Consulta il perno centrale del loro reddito di cittadinanza. Se infatti fosse passata la riforma di Renzi e con essa il trasferimento dalle Regioni allo Stato della competenza esclusiva in materia di lavoro, adesso le Regioni non potrebbero minacciare, come hanno fatto ieri, il ricorso alla Corte Costituzionale contro la prevista assunzione statale di 6 mila “navigator”, quelle figure che dovrebbero accompagnare i beneficiari del reddito verso un impiego. Ieri Cristina Grieco, coordinatrice degli assessori al lavoro di tutte le Regioni, ascoltata in audizione dalla commissione parlamentare per le questioni regionali, ha definito quelle assunzioni a termine come «una invasione di campo rispetto a una competenza che è incontrovertibilmente delle Regioni». E ha aggiunto: «Il ricorso alla Corte Costituzionale è un’ipotesi che prenderemo seriamente in esame». Questione di competenze, dunque, che in tema di lavoro la Costituzione continua a ripartire tra Stato e Regioni. Queste ultime ritengono tuttavia che la titolarità delle politiche finalizzate alla ricerca del lavoro sia dei Centri per l’impiego, che dipendono dalleRegioni, e non dell’Anpal, l’agenzia nazionale che dopo il referendum è rimasta priva di poteri. «Sui navigator – conclude quindi la Grieco – chiediamo di occuparci noi delle assunzioni e di farle a tempo indeterminato».
Ma le critiche delle Regioni non si limitano alla sfera delle competenze. E investono da più punti di vista il decreto sul reddito di cittadinanza. La loro protesta parte dal dimezzamento delle risorse per i Centri per l’impiego, scese dal miliardo inizialmente previsto a 480 milioni per il 2019 e a 420 per il 2020. E prosegue con una denuncia di discriminazione tra lavoratori. La scelta dei 6 mila Navigator, assunti come precari per due anni dall’Anpal Servizi, avverrà infatti con una semplice selezione condizionata al possesso di una tra sei lauree (economia, psicologia, sociologia, giurisprudenza, scienze politiche e scienze della formazione) e ad un test a risposta multipla. Si spera così di assumerli tutti rapidamente tra marzo e aprile.
Ben più lunga e complessa sarà invece l’assunzione dei 4 mila operatori regionali nei Centri per l’impiego, condizionata a concorsi pubblici e difficilmente realizzabile in meno di un anno.
Discriminazioni a parte, le Regioni si chiedono in che modo il lavoro dei “navigator” si differenzierà da quello degli altri operatori. Il decreto non lo chiarisce affatto determinando così una prevedibile sovrapposizione tra gli uni e gli altri. Inoltre, una volta scaduti i due anni di contratto dei “navigator”, il rischio è che in assenza di una loro stabilizzazione (promessa solo a parole), questi lavoratori restino in carico alle Regioni. Senza considerare poi un problema pratico che si presenterà fin da subito: l’impossibilità fisica delle attuali sedi dei Centri per l’impiego di ospitare i “navigator” e garantire loro una postazione di lavoro.
C’è infine un ultimo aspetto assai poco chiaro, secondo le Regioni, ed è il rapporto che dovrà stabilirsi tra i Centri per l’impiego e i servizi sociali dei Comuni. Ci sono casi di povertà che non dipendono necessariamente dalla mancanza di lavoro: questi dovrebbero essere presi in carico in prima istanza dai servizi sociali, e invece secondo il decreto dovranno far riferimento ai Centri per l’impiego. Un onere aggiuntivo e improprio sulle spalle di operatori che già oggi non riescono a soddisfare le richieste degli utenti.
Repubblica