Le proposte di deroghe e interventi
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha pubblicato il documento dell’indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche e sottolinea che i dati raccolti «Evidenziano che i danni causati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole sono ingenti e presenti in tutte le regioni ancorché differenziati in ragione del territorio, delle colture presenti e delle specie che li causano. I dati evidenziano poi che oltre ai danni alle colture sono ingenti anche i danni alla zootecnia e che le specie responsabili sono, non solo specie cacciabili, ma anche specie protette come ad esempio lo storno e il lupo».
Il documento probabilmente non piacerà a diverse associazioni ambientaliste e certamente a quelle animaliste perché contiene numerose richieste di deroga per la caccia (anche in aree protette per gli ungulati, agli storni e con la neve), affronta anche il tema degli incidenti stradali dei danni alle persone e alle cose causati dalla fauna selvatica: «Sempre più spesso le Regioni e/ le Province sono condannate al risarcimento di questa tipologia di danni e quindi sono costrette ad affrontare problematiche giuridiche ed economiche enormi. Tale problema ad oggi non è adeguatamente conosciuto e merita maggiore considerazione anche in considerazione delle problematiche sociali che genera».
Le regioni partono da un punto fermo ma troppo spesso messo in discussione all’interno degli stessi Consigli regionali: «Dal punto di vista giuridico la fauna è patrimonio indisponibile dello Stato, quindi le disposizioni contenute nella legge 157/1992 relative alla fauna sono fondamentali e non adattabili dalle regioni in quanto non di propria competenza. Relativamente al tema danni, la legge 157/1992 obbliga le Regioni al risarcimento dei danni causati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole, escludendo altre tipologie, quali i danni alle persone e cose, per le quali si fa quindi applicazione della norma generale contenuta nell’articolo 2043 del codice civile».
Poi vengono prese in considerazione le diverse specie che causano danni all’agricoltura e avanzate proposte operative che, pur non cedendo alla lobby della caccia selvaggia e deregolata, cercano di forzare in qualche punto l’assunto di partenza:
Cinghiale e altri ungulati. E’ evidente che le specie che generalmente producono la maggior parte dei danni sono gli ungulati, cinghiale in primis, ma anche capriolo, cervo e daino. Le popolazioni di ungulati sono in aumento esponenziale non solo in Italia, ma anche in Europa e con la crescita delle popolazioni sono cresciuti anche i problemi. Le colture maggiormente danneggiate dagli ungulati sono le erbacee e i seminativi, ma non si può non evidenziare anche i danni alle strutture produttive (recinti, muretti ed altro). Sono tanti anche i danni al bosco e alla biodiversità. Inoltre sono questi grossi mammiferi i principali pericoli per la circolazione stradale. Le Regioni in vario modo hanno cercato di contenere le popolazioni e di arginare il continuo proliferare dei danni che sempre più ha generato malcontento in tutto il comparto agricolo. Spesso il problema ha portato a veri e propri conflitti fra istituzioni e parti sociali coinvolte. Notevole è lo sforzo delle Amministrazioni regionali e locali per implementare adeguate misure di prevenzione, soprattutto recinzioni metalliche e elettriche. La normativa statale di riferimento non prevede una specifica disciplina della materia in quanto nel 1992 le popolazioni di ungulati non erano così numericamente importanti e scarso era l’interesse venatorio nei confronti di queste specie. Le regioni hanno cercato di risolvere il problema gestionale degli ungulati con proprie leggi e regolamenti regionali, ma sarebbe necessario rimuovere alcuni ostacoli dovuti principalmente all’attuale assetto della normativa nazionale vigente come per esempio il divieto di esercizio venatorio in presenza di neve. Sarebbe opportuno quindi sancire alcuni fondamentali principi fra cui: Gestione e/o controllo delle popolazioni di ungulati su tutto il territorio agroforestale (anche quello precluso all’attività venatoria) per garantire il mantenimento di densità definite e compatibili con le coltivazioni agricole presenti e le altre attività antropiche; Autonomia gestionale delle regioni per poter valutare ed implementare le strategie più opportune e funzionali al proprio assetto socio-economico e territoriale e per poter sempre più rivalutare tale patrimonio faunistico che dovrebbe costituire una risorsa del territorio anziché un problema.
Avifauna. Anche l’avifauna rappresenta una voce di danno importante soprattutto a carico di frutteti, oliveti, vigneti, coltivazioni arboree in genere, colture da seme e allevamenti ittici. Notevole è lo sforzo delle amministrazioni regionali per prevenire danni con metodi non cruenti (deterrenti meccanici di vario tipo) e con interventi di controllo applicati a livello locale a salvaguardia di specifiche aree coltivate o allevate. Nell’ambito della categoria avifauna una specifica attenzione deve essere prestata alla specie storno, da sola causa buona parte dei danni all’agricoltura ricompresi nella categoria”avifauna” e in quanto specie non cacciabile in Italia dal 1994, nonostante diverse fonti scientifiche affermano che la specie in Italia non è in declino, ma in progressivo aumento soprattutto nelle regioni in cui la specie è ormai nidificante e stabile. Il fatto che sia vietata l’attività venatoria nei confronti della specie storno crea non pochi problemi gestionali alle Regioni e agli enti locali competenti nella gestione della fauna. Di fatto è possibile intervenire solo con lo strumento delle deroghe di cui all’articolo 9 della direttiva 147/2009/CE secondo modalità ancora non definite dal legislatore (linee guida previste dall’articolo 42 della legge comunitaria recentemente approvata) e di difficile attuazione, soprattutto dopo la recente sentenza della Corte di Giustizia che ha condannato lo Stato per non aver correttamente applicato la normativa europea anche in materia di deroghe. Per affrontare concretamente il problema legato alla specie storno occorrono iniziative da parte della Presidenza del Consiglio nei confronti dell’Unione Europea per reinserire, con la maggiore urgenza possibile, la specie fra quelle cacciabili.
Fauna alloctona e specie inselvatichite. Sono rilevanti anche i danni causati dalla fauna alloctona come nutria e scoiattolo, nonché dalle specie inselvatichite come il piccione. I danni non sono provocati solo all’agricoltura, ma anche alle strutture e manufatti come per esempio le opere di difesa idraulica.
Per tali tipologie faunistiche sarebbe auspicabile ampliare e semplificare le attuali procedure relative alle metodologie gestionali a disposizione delle Regioni.
Specie ittiofaghe. Si segnala la forte crescita delle richieste di indennizzo per i danni arrecati alle produzioni ittiche da uccelli ittiofagi e in particolare dai cormorani. Solo pochi anni fa questa specie era sull’orlo dell’estinzione. Oggi, a seguito delle politiche conservazionistiche poste in essere, la popolazione europea di cormorani è notevolmente aumentata, tanto che la stessa Unione europea, in recenti documenti, ha dichiarato che il cormorano non risulta più tra le specie minacciate di estinzione. Si rende pertanto necessario affrontare con urgenza il problema a livello europeo al fine di individuare le strategie da intraprendere anche con gli altri Stati membri dirette a contenere la popolazione dei cormorani.
Incidenti stradali. Il fenomeno degli incidenti stradali causati da fauna selvatica è in continuo aumento a causa soprattutto dell’aumento delle popolazioni di selvatici, specificatamente ungulati, ma anche istrici e piccola fauna stanziale. I danni denunciati sono ingenti e riguardano non solo le cose (soprattutto autovetture e motorini), ma anche le persone (invalidità e morte). Sempre più spesso le pubbliche amministrazioni sono condannate al risarcimento di somme ingenti con conseguenti problemi per reperire le necessarie risorse finanziarie. Ad oggi è pendente un’ingente mole di contenzioso presso la magistratura con il correlato impegno burocratico e finanziario della Pubblica Amministrazione coinvolta (Regioni, Enti locali e Uffici Giudiziari). Alcune Regioni hanno sperimentato forme di assicurazione per coprire tali tipologie di rischi, ma gli esiti delle esperienze riportate al gruppo di lavoro sono contrastanti e non hanno evidenziato situazioni positive degne di segnalazione. Il problema è grave ed è necessario un intervento, urgente, del legislatore in merito.
Risorse finanziarie e gestione faunistica. Un tema trasversale rispetto a quello sopra trattato, e che riguarda in genere tutto il Settore gestionale faunistico e venatorio, è quello delle risorse finanziarie sempre più limitate. Le Regioni riaffermano la necessità di sollecitare il Governo tramite il Ministero dell’Economia e delle Finanze, affinché dia completa attuazione alle disposizioni contenute nella legge 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) articolo 66, comma 14 che disponeva lo stanziamento in via transitoria per i primi tre anni di una somma pari a euro 5.164.564, 00 da ripartire tra le regioni per la realizzazione di programmi di gestione faunistico ambientale; a decorrere dall’anno 2004 il trasferimento alle Regioni di una somma pari al 50% dell’introito derivante dall’applicazione della tariffa sulle concessioni governative relative alle licenze di porto di fucile ad uso caccia. Ciò consentirebbe una maggiore intensità degli interventi preventivi e di metodi alternativi al fine di ricondurre le popolazioni selvatiche a livelli ecologicamente e socialmente sostenibili. Maggiori risorse sarebbero di aiuto anche agli Osservatori Faunistici Regionali al fine di svolgere l’attività di monitoraggio degli habitat e della fauna selvatica, nonché dei prelievi e delle deroghe così come previsto con l’applicazione delle prossime linee guida dell’Ispra.
Greenreport.it
10 dicembre 2010