Michele Bocci. Una «vergogna che produce una drammatica discriminazione sociale». Ha usato parole pesanti, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, per descrivere quello che avviene in alcuni reparti della sua Regione. «Se passa attraverso il percorso pubblico deve aspettare sei mesi, se paga c’è posto dopodomani», si sentono rispondere troppo spesso i cittadini che vogliono prenotare una visite oppure un esame. Per questo motivo, il piano per l’abbattimento delle liste di attesa presentato da Zingaretti all’interno di un lungo elenco di misure prevede anche il blocco della libera professione nelle unità operative dove non si riescono a rispettare i tempi di attesa massimi fissati dalla Regione in base alla gravità dei casi.
La cosiddetta intramoenia, cioè l’attività svolta “dentro le mura” del sistema pubblico da professionisti dipendenti a tariffe concordate con la loro Asl, che trattiene una parte dell’incasso, è stata spesso messa in relazione con i lunghi tempi di risposta del sistema pubblico. Una lettura però respinta da molti sindacati dei medici.
Già in Emilia Romagna, il cui piano è stato in parte mutuato dal Lazio, l’assessore alla Salute Piero Venturi e il governatore Stefano Bonaccini avevano minacciato di bloccarla nei reparti con attese troppo alte. Visto che il sistema sanitario emiliano è sano e che i tempi, grazie alla riforma, sono rapidamente rientrati entro limiti accettabili, la misura non è praticamente mai scattata. Ma è sempre pronta ad essere applicata se le cose dovessero peggiorare.
Anche l’assessore del Piemonte Antonino Saitta ha affrontato il rapporto tra attese e
intramoenia. Ne sono nate disposizioni per le aziende sanitarie e ospedaliere, che vengono invitate a vigilare sulla quantità di libera professione svolta nei singoli reparti e a intervenire se è troppa rispetto al lavoro istituzionale. I soldi incassati dall’attività privata, poi, devono essere utilizzati dai direttori generali per promuovere appunto progetti che riducano i tempi di attesa. «L’intramoenia — dice Saitta — deve servire a dare la possibilità al cittadino paziente di scegliere il professionista. Non dev’essere una strada necessaria per ottenere prima la prestazione».
Il Veneto, invece, non ha mai pensato a provvedimenti simili a quello voluto da Zingaretti. «Facciamo comunque un controllo stringente sulla regolarità dell’applicazione dell’intramoenia — spiega l’assessore alla Salute, Luca Coletto — Non c’è bisogno di provvedimenti così forti, perché da noi le attese sono sotto controllo».
La Toscana era stata la prima a prendere un provvedimento forte sulla libera professione. Anni fa, venne approvata una delibera che obbligava le chirurgie in cui le attese per interventi programmati e non urgenti erano troppo lunghe ad avere un’agenda unica per le operazioni in regime istituzionale e per quelle in intramoenia, che dunque non possono “passare avanti”. Quella norma, però, non è mai stata pienamente applicata, e nel nuovo piano anti-liste di attesa dell’assessora Stefania Saccardi di intramoenia non si parla. Ma oggi, sul punto, il governatore Enrico Rossi ha una posizione molto più forte di quella delibera, e l’ha ribadita pochi giorni fa davanti al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin: «L’intramoenia va abolita. È vissuta come un’attività insopportabile dalla stragrande maggioranza dei cittadini».
Repubblica – 13 aprile 2017