L’idea di fondo è la stessa: l’impianto universale e solidale del Servizio sanitario nazionale non si tocca. I programmi per la sanità di Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, che domenica andranno al ballottaggio per le primarie del centrosinistra, condividono molti punti.
Bersani – non tanto nel programma “leggero” per le primarie quanto nel programma Pd approvato a luglio 2011 – afferma con chiarezza che «la sanità deve restare pubblica, che costa meno che negli altri Paesi europei, che non ha bisogno di tagli». Il sindaco di Firenze, nel suo piano, attacca le disuguaglianze: «Un problema centrale del Ssn è la disomogeneità dei servizi sanitari nel Paese e il sistema di ripartizione delle risorse».
Per entrambi la sanità è un fattore di sviluppo. «Può essere uno degli assi portanti per il rilancio degli investimenti ma anche per le nuove professioni legate alla cura della persona», sottolinea il segretario Pd. Renzi, dal canto suo, propone di «utilizzare la leva delle spese sanitarie del Ssn e dei vari Ssr per incentivare lo sviluppo di una industria tecnologica italiana delle Life Sciences. La spesa per la sanità – chiarisce – va considerata non solo come costo, ma anche come strumento di sviluppo». Pollice verso, dunque, ai tagli lineari che impoveriscono il sistema senza riqualificare la spesa.
Le differenze tra i due “rivali” sono altrove. Nel programma Pd si denuncia il sostanziale fallimento dei commissariamenti delle Regioni in rosso: «I Piani di rientro e i commissariamenti, infatti, se hanno certamente messo in evidenza il problema del riequilibrio finanziario e del controllo della spesa in contesti contrassegnati sempre più dall’esigenza di contenere la spinta a una sua espansione, non hanno dato, nella gran parte dei casi, il segno di un’inversione di tendenza convincente. Non hanno indotto a comportamenti virtuosi visibili.
Non la pensa allo stesso modo Matteo Renzi, secondo cui il commissariamento è la strada da seguire per «per punire forti perdite, fino al default». Anche sui tagli ai posti letto le posizioni si dividono: Bersani non ne fa cenno, Renzi propone di ridurli del 10% (circa 20mila) ma «in modo non lineare e non discriminante per le Regioni più virtuose».
Le affinità tornano quando si parla di nomine. «I partiti devono restare fuori da questa partita», dice il programma del Pd. «Occorrono nuovi meccanismi di selezione della classe dirigente del Servizio sanitario. Trasparenti e verificabili. Per farlo devono essere ridefiniti i requisiti professionali, i criteri e le procedure delle scelte dei direttori generali di Asl e ospedali e dei dirigenti medici e sanitari (gli ex primari e gli altri responsabili di strutture sanitarie), attraverso chiari percorsi di selezione basati esclusivamente sul merito». Anche per Renzi bisogna «riorganizzare sul modello del Nhs inglese la nomina dei primari, dando spazio al merito e alla revocabilità in base alle performances e riducendo l’influenza della politica».
I due esponenti Pd concordano infine sull’esigenza di introdurre nuovi livelli essenziali di assistenza e di rafforzare la medicina del territorio. Per Renzi, il varo dei Lea – «da razionalizzare e attualizzare» – è essenziale anche per calcolare il finanziamento del Ssn, che dovrà basarsi su «su costi di spesa standard» resi coerenti proprio «attraverso i Lea».
Sole 24 Ore Sanità – 27 novembre 2012